Venezia
tennero in conto di una ragazzata e condannarono lo Steno ad un breve esilio temporaneo e ad essere fustigato con code di volpe: fustigazione d'apparenza e non di fatto. La mite sentenza accrebbe F ira del vecchio doge, il quale, ad alcuni arsenalotti che erano ricorsia lui per lamentarsi d'ingiurie avute da gentiluomini, rispose di non aver autorità sufficiente per vendicarli contro l'insolenza dei nobili, perocché egli stesso atrocemente ofl'eso 11011 aveva potuto ottenere vendetta. Quei popolani, eccitati dalle parole inaspettate del doge contro i nobili e gli ordini vigenti, si esibirono ad aiutarlo nella sua vendetta. Parve al Fallerò di avere con sè il favore popolare e vagheggiò l'idea di farsi signore assoluto per forza di popolo. Gol nipote ed altri suoi famigliari e malcontenti congiurò sul modo di chiamare il popolo m armi contro i nobili, sopprimere il Maggior Consiglio, incarcerandolo in un giorno di radunanza e proclamare poscia Marin Fallerò signore assoluto di Venezia. IX ebbero sentore della cosa, nell'imminenza che la trama passasse in azione. La cosa parve ad essi tanto grave, di capitale importanza, e per la necessità che s'imponeva d'agire rapidamente senza indugi e pietà, credettero bene aggiungere alla loro autorità quella di altri venti patrizi, membri del Gran Consiglio o senatori. Arrestato e giudicato subitamente, Marin Fallerò fu dannato nel capo; gli altri suoi complici ebbero la stessa sorte e tra questi fuvvi pure Filippo Calendario, architetto sommo del palazzo Ducale e scrittore magistrale, pel tempo, al quale i meriti artistici non valsero a salvare la vita.
A Marino Faliero, decapitato il 16 aprile 1355, succede Giovanni Gradenigo (doge 56°), sotto il quale continuano le guerre in Dalmazia, coi Carraresi, con vicende varie. Xel 1356, morto Giovanni Gradenigo, è eletto doge Giovanni Dolfin (57°). Questi deve combattere contro gli Unglieri, penetrati nel Trevisano ed in Dalmazia, ove la situazione si fa sempre più grave; tanto che alla pace conclusa, nel 1358, tra la Repubblica ed il re d'Ungheria, la Dalmazia è a questi ceduta. Tra il 1360 ed il 1361 Venezia e afflitta da una nuova pestilenza, importata per via dell Istria dall'Oriente.
Alla morte del doge Doltin, nel luglio 1361, è eletto Lorenzo Celsi (doge 58°), mentre ancora si trovava in guerra sulle navi mandate contro i Genovesi. Una nuova restrizione è posta all'autorità dogale, ed è che gli elettori non potessero aver comunicazioni col doge fuori del Conclave. In quello stesso armo furono ospiti della Repubblica il duca d'Austria, Pietro di Lusignano, re di Cipro, e Petrarca, ospite più volte della Repubblica, dona ad essa la sua libreria preziosa, i suoi codici, che furono il nocciolo generatore della Biblioteca Marciana. Nuova ribellione di Carnlia, questa volta provocata dai patrizi veneti colà stabiliti, che volevano avere il diritto di sedere nel Maggior Consiglio o Senato veneto. Una flotta è allestita per aver ragione di questi ribelli; seguono vari scontri e la vittoria finale resta a Venezia, che la celebra con grandi feste, la cui descrizione fu lasciata dal Petrarca, testimone oculare del fatto (a. 1364).
Nel 1365, allì 18 luglio, muore il doge Lorenzo Celsi; gli succede, il 21, Marco Cornaro (doge 59°), cui primo atto è di ridurre i ribelli di Candia all'antica devozione. Nel 1368 morte del doge Cornaro; eletto Andrea Contarinì (doge 60°); ribellione di Trieste ed assedio di quella città per parte dei Veneziani con poderosa fiotta. Dopo varie vicende, nel 1369, Trieste è nuovamente assoggettata a Venezia. Nei tempi più grossi si forma poi la Repubblica, verso il 1372. Tutti i nemici di Venezia, cioè i Genovesi, il re d'Ungheria, i Carraresi di Padova, il patriarca d'Aquileja, si collegano contro Venezia allo scopo di abbatterla. Fu questa la più aspra delle guerre che enezia avesse fin allora sostenuto. Vittor Pisani, gran capitano, grandissimo cittadino che per lungo tempo aveva vittoriosamente fronteggiato in mare ed in terra i poderosi nemici, fu alla sua volta vinto in una grande giornata navale a Pola dai nemici collegati, che, incoraggiati dal successo quasi insperato, si accostarono a Venezia, giunsero a Chioggia e di la il condottiero genovese, un Doria, minacciava la regina delle
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