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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   l'arte Prima — Alta Italia
   che per tutto il successivo 1348 devastò l'Italia, e della quale Giovanni Boccaccio lasciò, nelP introduzione del suo Deca merone, imperitura descrizione. Il contagio e la universale desolazione non impediscono a Venezia di prepararsi in armi e minacciare ti re d'Ungheria, che coi continui eccitamenti suoi incoraggiava e proteggeva la defezione dei Zaratini e degli altri Dalmati.
   Nuovamente, per le antiche rivalità, scoppiò la guerra tra Genova e Venezia (1349), che. pure si erano trovate d'accordo quando si trattò di imporre rispetto alla loro volontà al Kan dei Tartari. Ma il conflitto continuo degli interessi delle due Repubbliche, emule nello stesso campo d'azione commerciale e negli stessi mari doveva portare inevitabilmente quelle periodiche sanguinose lotte. Se ascoltiamo i cronisti dell'una e dell'altra parte i pretesti pei quali ad ogni tratto si correva alle armi, appaiono futili quanto mai ; ma se si guarda alla condizione rispettiva delle due Repubbliche e nel Mediterraneo ed in Oriente — allora poi ch'era scomparsa Amalfi e debellata Pisa — si comprende la ragione fatale di quelle guerre.
   Venezia fu la. prima a rompere la tregua che fra le due Repubbliche s'era imposta per l'azione comune contro il Kan dei Tartari. Essa mal soffriva le colonie genovesi di Gaffa e di Galata, che facevano una concorrenza spietata ai suoi commerci. Battaglie avvenivano, si può dire, ad ogni incontro di navi delle due rivali. Ve ne furono anche delle grandiose, come quella nelle acque stesse di Costantinopoli perduta dai Veneziani, sotto il comando di Nicolò Pisani; o quella nelle acque di Sardegna, in cui lo stesso Nicolò Pisani sconfisse alla sua volta i Genovesi sotto il comando di Paganino Doria. Questa vittoria anzi mise in sì grave pericolo Genova ch'essa dovette ricorrere per aiuto al protettorato dei Visconti; per la qua! cosa Venezia si trovò in guerra anche coi potenti signori di Milano. A Portolungo, Paganino Doria sconfisse i Veneziani, menandone gran numero captivi a Genova, ove fu ricevuto a guisa di trionfatore romano. Dopo quella rotta assai grave Venezia fu costretta a trattare per la pace, e trattò col Visconti anziché con Genova, la qual cosa spiacque ai Genovesi e la mise in dissidio col Visconti (1354). Nello stesso anno moriva, alli 7 di maggio, il doge Andrea Dandolo e venne eletto pochi giorni appresso Mariti Faliero (doge 55°). Continuasi la guerra in Dalmazia, col ricupero di Scardona, e contro il re d'Ungheria, eccitatore sempre della rivolta dei Dalmati contro Venezia. Continuavano pure le guerre coi Padovani per il contine e per le acque del Brenta, recanti danno continuo alla laguna. Queste guerre con Padova avevano preso cara Itero, diverso da quello che avevano le precedenti del secolo avanti, quando era ancor viva la Repubblica patavina. Allora erano guerre brevi e generose: adesso, specialmente per Venezia, lunghe e meditate non contro la città ed il suo popolo, ma contro i Carraresi che la dominavano ed i mercenari e gli avventurieri che erano al loro soldo.
   11 tragico dogado di Marin Faliero fu breve, poco meno d'un anno. I cronisti, tra cui il Salitalo, che ne fa minutamente e con grande sincerità la storia, dipingono il Marino per uomo violento ed ambizioso e narrano, a prova del suo carattere poco maneggevole, che egli, essendo potestà per la Repubblica a Treviso, schiaffeggiasse pubblicamente, durante una cerimonia, il vescovo della città, il che non fu affare dì poco. Quando fu fatto doge, assai vecchio d'età, era, per disgrazia sua, marito gelosissimo di una donna bella, giovane, prestante, sulla condotta della quale, sembra, la cronaca cittadina non fosse muta. Avvenne che da una pubblica festa alla quale egli era intervenuto, facesse cacciare un giovane patrizio, Michele Steno, che non si era convenientemente condotto con una donzella. Lo Steno, prima d'uscire, penetrato nella sala ducale, trovo modo di scrivere sul trono le famose ingiuriose parole: Marin Falier da la bela muger. hi la mantien. ai altri la fa goder. Furibondo il doge voleva la morte del giovane: i XL, dai quali lo Steno fu giudicato, considerata la sua giovane età, l'impeto della collera, sotto la quale l'atto, non meditato, era stato compiuto, lo