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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Venezia
   181
   e dalla potenza dello Scaligero, vicario imperiale e capo del partito ghibellino italiano. Venezia somministrò alla lega 10.000 soldati coscritti nella città ; capitano generale fu Piero De Rossi, già signore di Parma. Sulle prime la fortuna arrise agli Scaligeri, ma poi cominciarono i rovesci. La loro dura signoria spiaceva alle popolazioni Ceneda. Conegliano ed altri luoghi cospicui si ribellarono unendosi a Venezia. Marsilio Carrara, mandato dallo Scaligero a trattare la pace con Venezia, tradì il mandante pur di assicurarsi Padova. Sconfitto più volte e fatto prigioniero Alberto della Scala, si dovette venire ai patti e la Marca trevigiana restò intiera a Venezia, che ebbe così il suo primo grande possesso di terraferma in Italia.
   Qui cade acconcio osservare che nelle sue conquiste in genere, ma soprattutto in quelle compiute in Italia, i Veneziani, o fossero vincitori per la fortuna delle armi, o allargassero il dominio per spontanea dedizione delle popolazioni, seguirono — a differenza di tutti gli altri governi del loro tempo — il saggio consiglio di conservare ai nuovi sudditi intatti gli antichi loro statuti municipali, i privilegi civili ed ecclesiastici goduti, la procedura civile e criminale in uso, le qualifiche, le attribuzioni, i nomi dei varii magistrati. Venezia si riserbava il diritto di mandare nelle città principali venute in suo dominio un governatore col nome italiano di podestà, il che non urtava certo contro alcuna tradizione locale, anzi risuscitava il sentimento dell'autonomia comunale, là dove era stato spento dalla mala signoria dei capiparte. Al comando delle milizie era delegato un patrizio veneto col titolo di capitano. Nessuno di questi magistrati poteva toccare ai privilegi, alle guarentigie della città. L'attentarvi era delitto di maestà, sottoposto al giudizio dei X. Ogni provincia era rappresentata in due corpi: la città da un Consiglio di nobili soggetto al potestà; il territorio in diverse porzioni o distretti comprendenti uno o più Comuni, che si univano a formare la rappresentanza territoriale presieduta dal Capitano delle milizie. In alcune città, come ad esempio Treviso, i popolani entravano nel Consiglio della città. Ogni città, ogni territorio cospicuo teneva i suoi nunzi in Venezia, che ne difendevano — occorrendo — le ragioni davanti al doge ed al Maggior Consiglio. I podestà duravano in carica sedici mesi e si potevano anche riconfermare. Ai luoghi fortificati o di confine comandava un provveditore, dipendente dal capitano delle milizie. Si comprende come Con queste forme, relativamente liberali, salvaguardanti l'amor proprio, la dignità delle popolazioni, ed al confronto di quelle che si andavano applicando nelle altre regioni d'Italia dai varii principotti indigeni e dalla Curia romana, eccellenti, le popolazioni si affezionassero a Venezia e le serbassero fedeltà e devozione, che non furono mai smentite per durar di secoli e mutare di eventi, facendo sempre con Venezia causa comune, sì nella fortuna coinè nella sventura.
   Morto Francesco Dandolo qualche mese dopo l'acquisto di Treviso, il 31 ottobre del 1339, gli succedette, il 5 novembre, Bartolomeo Gradenigo (doge 53°), sotto il quale l'autorità ducale subì un'altra limitazione coli'esserle sottratta la nomina dei gastaldi, che si mandavano a governare le isole della laguna: la nomina di tali ufficiali col tìtolo di rettori fu devoluta al Maggior Consiglio. Durante il suo dogado, Bartolomeo Gradenigo provvide alla repressione di una nuova ribellione dei Greci di Candia, eccitati dai soliti ambiziosissimi Calergi.
   A Bartolomeo Gradenigo, morto nel dicembre 1342, succedette, ai 4 gennaio dell'anno successivo, Andrea Dandolo (doge 54°), uomo di molta energia e di grande senno, amico del Petrarca. Il dogado di Andrea Dandolo è dei più operosi di questo periodo. Pone l'assedio a Zara, ribellatasi e datasi al re d'Ungheria e, dopo vivace combattimento, la riconquista e punisce. Nel 1347 Venezia e Genova stipulano un trattato di pace coli'imperatore o Kan dei Tartari, che, nel 1342, aveva espulsi i mercatanti veneti e genovesi dai suoi Stati e saccheggiati i loro fondachi alla Tana. Nello stesso anno, oltre un grande terremoto, affligge Venezia la terribile pestilenza