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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Venezia
   2-21
   suoi interessi commerciali, Venezia si affrettò a porre riparo, desistendo dall'impresa di Ferrara e intavolando trattative di pace colla Corte Romana.
   In tanto frangente, Venezia era stata colpita da un altro avvenimento, che aveva minacciato l'esistenza della Repubblica e de' suoi ordinamenti. Alcuni nobili aderenti alla famiglia dei Queruli, e Bajamonte Tiepolo genero dello stesso Mario Queruli, mossi da ambizioni di dominio, perchè gli squittinii li avevano esclusi da ambite cariche pubbliche, e da odio verso il doge ed altri fra i principali rettori della Repubblica, ordirono una congiura che aveva per iscopo l'uccisione del doge, del capo dei Quaranta e la distruzione degli ordinamenti ili vigore, ai quali avrebbero sostituito il loro dominio. Non fu, come taluno romanticamente favoleggiò, congiura di chi avesse aspirazioni a maggiori libertà o volesse favorire la causa del popolo contro dominatori odiati o prepotenti. Era — e fu storicamente provato con copia di documenti e prove di fatto — una cospirazione di nobili che volevano comandare contro il doge ed altri nobili che comandavano. L'interesse popolare era totalmente fuori di questione; tant'è vero questo, che quando Bajamonte Tiepolo ed i suoi compagni credettero venuto il momento di agire e scesero in piazza inalberando il vessillo della rivolta, invano fecero appello al popolo; questi spontaneo corse alla difesa del doge e dei suoi magistrati, determinando l'insuccesso del tentativo, l'uccisione e la fuga del maggior numero dei congiurati, da Bajamonte cominciando (1310,).
   Il fatto inopinato ed il pericolo corso dallo Stato fu però di salutare avvertimento per i reggitori della Repubblica, i quali per non lasciarsi cogliere un'altra volta alla sprovvista, istituirono un magistrato speciale, che avesse a vegliare sulla sicurezza dello Stato, < sopra questi negozi di queste novità >, dice il decreto del maggior Consiglio dellf 10 luglio 1310, col quale veniva istituito un Consiglio di « dieci Savi >, che fu e rimase poi famoso nella storia civile e politica di Venezia col nome di Consiglio dei Dieci. Tale decreto è registrato nel Liber Magnus del Gran Consiglio a faccia 8. Della natura e delle funzioni di questo specialissimo consesso, intorno al quale molto si è sbizzarrita la leggenda popolare e la fantasia degli scrittori romantici, si dirà nel breve paragrafo sugli usi ed istituzioni dei Veneziani che segue questo capitolo. Qui giova ricordare che, contrariamente alla credenza generale dalle leggende e dalle favole fatte correre senza controllo in conto di storia vera, il Consiglio dei X nou fu istituto tirannico diretto contro la libertà dei cittadini, i diritti del popolo; bensì ebbe per principale ufficio di vigilare sui nobili e castigarli delle colpe loro, come quelle da cui lo Stato, per le loro ambizioni, per le loro turbolenti passioni, per la loro influenza, più aveva da temere. Colla istituzione del Consiglio dei X, il Governo della Repubblica di Venezia prese quell assetto definitivo che, salvo lievissime mutazioni imposte dal variar dei tempi e degli usi, serbò tino alla caduta della Repubblica stessa.
   Periodo settimo. dal 1310 al 1380 — In questo periodo, che fu uno dei più belligeri attraversati da Venezia, ressero le sorti della Repubblica i dogi: Marino Zorzi, Giovanni Soranzo, Francesco Dandolo, Bartolomeo Gradenigo, Andrea Dandolo, Marino Faliero, Giovanni Gradenigo, Giovanni Dolfin, Lorenzo Gelsi, Marco Cornaro, Andrea Contarmi.
   Alla morte dell'operoso doge Pietro Gradenigo, avvenuta il 13 agosto 1311, fu eletto Stefano Giustiniani; ma questi, non avendo voluto accettare l'alto ufficio, fu surrogato da Marino Zorzi (doge 50°), cittadino preclaro, d'alto ingegno e popolarissimo per le sue virtù. Suo primo atto fu di concludere la pace col Pontefice, onde sollevare Venezia dai danni dell'interdetto, e la Repubblica fu ribenedetta. Per consiglio del Zorzi. e per togliere ragioni di nuovi dissidi!, furono ammessi al maggior Consiglio molti cittadini che al tempo della congiura di Bajamonte Tiepolo si erano resi benemeriti della Repubblica ed altri che con poca giustizia si erano esclusi.