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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Venezia
   181
   dei Veneti. Aggiungasi elie i Genovesi, invidi della cresciuta potenza veneta in Oriente, desideravano quel dominio ed avevano tentato di comperare l'isola dal marchese di Monferrato, che ne vantava l'alta sovranità. Non riusciti in questo, tentarono di averla per frode, incitando un venturiero, certo Arrigo conte di Malta, ad impossessarsene ed aiutandolo segretamente di navi e di uomini Ma anche questa impresa andò a vuoto per la sollevazione degli abitanti contro il conato del maltese. I Veneziani, volendosi assicurare quel dominio, importante per sè e per la sua posizione sul mare quasi di fronte all'apertura del golfo adriatico, si appigliarono, per guarentirsi dai nemici interni e dagli esterni, al partito tante volte seguito da Roma, di colonizzarla inviandovi un gran numero di cittadini suoi d'ogni classe, che s'impadronirono del governo dell'isola. Fu una specie di colonia feudale militare, nella quale i cavalieri erano tratti dai patrizi ed i fanti ed i marinai dalle classi del popolo. Nel tempo che soggiornavano nell'isola dovevano sottostare a leggi particolari; ma non perdevano il diritto veneziano, che quaudo ritornavano in patria riprendevano come per l'innanzi. La nobiltà locale fu rispettata ed ili certa parte chiamata al reggimento dell'isola; si tollerò nei nativi la religione scismatica, e perfino, con molta saggezza, fu rispettata un'antica colonia di Saraceni ivi stabilita. Per le cose interne Venezia lasciava all'isola completa autonomia; solo vegliava sui suoi rapporti esterni e sui traffici colle nazioni vicine. Era capo del Governo di Candia un governatore o duca, mandato ogni anno — o confermato — dal maggior Consiglio di Venezia, il quale riserbossi pure la scelta del capo delle milizie. Fu perfino assegnato a Candia il patronato celeste di S. Marco per i Latini, di S. Tito candiota per i Greci. La diversità di religione non aveva influenza sui diritti dei cittadini dalla legge considerati alla stessa stregua. Nondimeno i Candioti tentarono più volte di scuotere questo morbido giogo: ma non vi riescirono, perchè Venezia fu sempre pronta a spegnere le rivolte e ad aumentare le proprie forze nell'isola deducendovi nuove colonie.
   Da questo rapido cenno il lettore può arguire quanto sia stato febbrile il lavoro di organizzazione e di rassodamento dei vasti domimi assicurati alla Repubblica di San Marco dalla fortunata impresa e dall'abile politica di Arrigo Dandolo — uno dei grandi fondatori della grandezza di Venezia — sotto il dogado di Pietro Ziani.
   Ma. pur dando alle cose d'Oriente la massima parte delle proprie cure, la Repubblica di Venezia non scordava d'essere in Italia, nò si disinteressava delle cose d'Italia. Cominciava già a sentirsi a disagio nelle isole della laguna, e sentiva la necessità di possedimenti in terra ferma, che dovevano darle maggior forza e prestigio di fronte ai numerosi sudditi ch'essa aveva nelle isole dell'Arcipelago ed a Costantinopoli. Non erano perciò troppo cordiali le relazioni di Venezia coi reggimenti delle città confinanti coll'estuario: Padova e Treviso in particolar modo; e le contese per il corso delle acque che si scaricavano nella laguna interrandola e danneggiandola erano frequenti. Soprattutto coi Padovani, a causa del Brenta, il peggior nemico della veneta laguna, l'animosità era aspra e permanente. Nel 1214 avvenne che, per una contesa scoppiata tra un drappello di giovani patrizi veneziani ed una di padovani in una festa pubblica di Treviso, detta del Castello d'Amore, le due città furono in armi, e tra Padova e Venezia venne dichiarata la guerra. Il patriarca di Aquileja, che non poteva obliare le sue ragioni di rancore e d'interesse contro Venezia, soffiò nell'odio dei Padovani cui aiutava pure di danaro e sottomano anche d'uomini. La guerra durò accanita con varie vicende per qualche tempo, finché i Padovani e Trevigiani, avuta l'imprudenza di accamparsi troppo avanti nell'estuario, i Veneziani, profittando d'un periodo di marea eccezionalmente alta, armate certe navi leggere e sottili, si accostarono siffattamente al campo nemico che lo sorpresero all'impensata, costringendo Padovani e Trevigiani a disastrosa ritirata. La pace fu imposta dal vincitore, il quale volle avere nelle mani Jacopo da Sant'Andrea — ricordato da Dante — e venticinque