Venezia
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Successore di Ottone Orseolo fu Pietro Barbolano o Centranigo, nella serie 28°, eletto nel 1032. Per cause analoghe nel 1032 il Centranigo è deposto, ed ili sua vece viene eletto Domenico Flabanigo (doge 29), capo della congiura che aveva rovesciato l'Orseolo ed i suoi. Sotto questo doge fu creata la legge che proibisce al doge di associarsi al comando il figlio o qualsivoglia altro congiunto; ad aiutare il doge nelle cure dello Stato fu istituito un Consiglio di due tribuni, poi accresciuto di varii nobili, che furono detti pregadi. Questo provvedimento inteso a limitare, come difatti limitava l'autorità del doge, preso dopo la espulsione degli Orseolo, prova che il popolo veneziano s'era accorto del pericolo ed aveva in tempo riparato. Da ciò originò l'oligarchia che conservò per tanti secoli il potere nelle sue mani; ma essa, nel parallelo che in relazione dei tempi si può fare tra il governo di Venezia e degli altri Stati d'Italia e d'Europa (in quasi ai tempi moderni, fu male ben minore delle signorie ereditarie, di questa o di quella famiglia principesca. Il governo di Domenico Flabanigo fu operoso e tranquillo. Questo doge morì nel 1042 e gli successe Domenico Contarini (30° doge). Dogando il Contarini, i Dalmati non peranco tranquillati, cedendo alle istigazioni del re d'Ungheria, si levarono contro Venezia; il doge prese tosto le armi, e con una poderosa flotta si recò sul Quarnero, ove ben presto ebbe ragione dei ribelli, ed assediata Zara la espugnò, tenendola sotto il dominio di Venezia. Dopo il Contarini, che pure ebbe anni di governo pacifico, morto nel 1070, veniva eletto Domenico Selvo dal popolo mentre egli si recava alla Marina detta di San Niccolò al Lido, ove adu-navasi la Conclone popolare, I particolari di questa elezione furono narrati dal cronista Domenico Ricco, che ne fu spettatore. Domenico Selvo fu nella serie dei dogi veneti d 31°. I Normanni, che già con fortuna s'erano stabiliti nell'Italia meridionale, nelle Puglie, aspirando a maggior dominio s'erano spinti anche in Dalmazia col pretesto di liberarla dal giogo dei Veneziani. Il Selvo andò a combatterli e li respinse ; ma, tornati quelli alla riscossa, il Selvo andato a combatterli a nome dell'imperatore greco, non ebbe uguale fortuna: il popolo, disgustato da quell'insuccesso, depone il doge ed elegge in sua vece Vitale Fallerò (32° doge), che era stato il capo degli avversari del Selvo (a. 10b4). Questi con miglior fortuna continuò la guerra coi Normanni, descritta minutamente da Anna Comneno, che ne fu spettatrice e cronista. Fu sì valido l'aiuto portato da Venezia in questo frangente alle armi greche, che la vittoria definitiva potè dirsi al tutto vittoria veneta, e l'imperatore Alessio, in premio di tali servizi, ampliò « privilegi da Venezia goduti in Oriente; confermò il possesso della Dalmazia e della Croazia, virtualmente spettanti all'Impero ; accordò ai Veneziani un quartiere distinto in Costantinopoli e libertà assoluta del loro commercio in tutti i suoi Stati. Da ciò originarono in parte le non lontane discordie con Genova e Pisa, due altre repubbliche marittime che con fortuna battevano i mari dell'Oriente, ove Venezia mirava ormai a stabilire la propria egemonia.
Con questi fatti Venezia si afferma alla fine del secolo XI, mentre un grandissimo nuovo avvenimento commuove e sommuove dal letargo ferreo, nel quale sembrava l'avesse gettata la tirannide feudale, l'intera Europa, trasportandone al grido di < Dio lo vuole! > le masse umane, gli eserciti, i re, i principi, i feudatari, oltre i monti e oltre i mari, in Palestina alla liberazione del Sepolcro di Cristo. Di questo movimento immenso, uno dei più singolari fenomeni che la storia umana presenti, Venezia, per la saggezza del suo governo in quel secolo di preparazione, che può dirsi il periodo di cui abbiamo trattato, si trovò pronta ad approfittare colla maggiore larghezza ed a totale suo beneficio.
Nel corso del suo ducato Vitale Faliero diede mano ad alcune riforme interne, tra le quali è da notarsi la istituzione del magistrato detto del Proprio, che giudicava le liti. Era pur questa un'altra menomazione dell'autorità ducale, poiché all'elezione del doge venivano sottratti ì messi ed i gastaldi che prima amministravano la giustizia.