[CAP. IX.] GIOVANNI KNOX E MARTINO LUTERO. 247
D' altra parte si deve pur confessare che ad alcuni fra gli uomini di più insigne e generosa natura, mancarono queste grazie della cortesia e della urbanità. Come talvolta si vede una rozza buccia avvolgere un frutto squisitissimo, così non di raro un esteriore grossolano copre un' indole gentile e benevola. Chi è disadorno può sembrare anche di modi sgarbati, eppure essere &' animo onesto, amabile e gentile.
Giovanni Knox e Martino Lutero non erano certo segnalati per urbanità, avendo avuto a far opera che esigeva forza e fermezza, anzi che gentili maniere ; e veramente furono entrambi accusati di modi aspri e violenti più del bisogno. « E chi sei tu (disse un giorno la regina di Scozia Maria a Knox) che presumi addottrinare i nobili e la sovrana del regno? » — « Sono uno, o signora, che è nato in questo regno, » rispose Knox. Narrasi che l'audacia e la rozzezza sua abbiano più di una volta fatto piangere la regina ; e che avendo il reggente Morton ciò udito, dicesse : « Meglio è che piangano le donne che non gli uomini barbuti. »
Mentre un giorno Knox usciva dalla presenza della regina, udì uno dei cortigiani dire a un suo compagno : « Non ha paura, colui ! » Ed egli volgendosi a loro, soggiunse : « E perchè dovrebbe il volto piacevole di un gentiluomo far paura a me, che ho veduto uomini accesi di sdegno senza temerne ? » Quando poi infine questo riformatore, affranto dalle fatiche del corpo e dalle lotte dell' anima, fu calato all' ultima dimora, il reggente guardando nell' aperto sepolcro, esclamò, con parole che fecero grande impressione, perchè verissime : « Qui giace colui che non temette mai la faccia dell' uomo ! «
Anche di Lutero si disse, eh' era un composto di violenza e di selvatichezza. Ma, com'era accaduto a Knox, il tempo in cui visse, fu duro e violento ; e il compito che gli toccò non era tale da potersi condurre a fine colia piacevolezza e la soavità. Per