216 ULTIMA SUA MALATTIA, E MORTE. [CAP. VII.]
una creta che si avesse in mano, può essere per un certo tempo modellata a piacer nostro. È tremenda la responsabilità di questo potere.... Non intendo punto che mi si creda indifferente alla buona opinione che altri possa avere di me : no certo, io 1' apprezzo molto ; se non che ora mi curo assai più di meritarla, che di ottenerla. Una volta non era così. Non ho mai desiderato lodi che non mi fosser dovute, ma troppo facilmente credeva di meritarle. Oggi la parola DOVERE a me sembra la più grave parola del mondo, e mi suona all'orecchio in ogni cosa di qualche importanza che io prenda a fare. »
Ciò egli scriveva quattro mesi circa prima della sua morte. Un po' più tardi scrisse : « Io filo lo stame della vita da una settimana all' altra, piuttosto che da un anno all' altro. » Una perdita continua di sangue polmonare gli toglieva quel resto di forze che ancora si sentiva, ma non lo rendeva affatto inabile a dar lezioni. Rise udendo la proposta di un amico, di metterlo sotto tutela per costringerlo ad aver cura della salute ; ma non volle esser distolto dalle sue fatiche finché ebbe un filo di forza. Ma un giorno dell'autunno 1859, ritornando dalla consueta lezione all' università di Edimborgo, si sentì pungere da acuto dolore da un lato, e appena potè far le scale di casa sua. Fu mandato pel medico, e riconosciuto che quel male era pleurisia e infiammazione de' polmoni. Non poteva un corpo così rifinito resistere a questo fiero assalto ; e, dopo brevi giorni di malattia, passò placidamente a quel riposo che egli tanto desiderava.
« Non si versino lagrime per la sua morte ! Uno splendidissimo giorno succede ad una stanca vita di pene e di affanni. »
La vita di Giorgio Wilson, tanto bene e amorosamente narrata dalla di lui sorella, è forse uno de'più meravigliosi racconti di lunghi patimenti, e insieme di continua, nobile ed efficace fatica, che possa