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Il carattere

Samuele Smiles (traduzione di P. Rotondi)
G. Barbera Editore Firenze, 1872, pagine 375

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   [CAP- IT.] IL LAVORARE È UN DOVERE UNIVERSALE. 95
   spettiva loro condizione di vita, il ricco al pari del povero. 1 II gentiluomo di nascita e di educazione, per quanto sia ricco, non può non sentirsi stretto lui pure dal dovere di contribuire la sua quota di opera alla generale prosperità della quale partecipa. Non lo può soddisfare 1' esser pasciuto, vestito, provveduto dal lavoro altrui, s' egli pure non ricambia degnamente la società cbe così lo sostiene. Un uomo onesto e di nobili sentimenti, non potrebbe sopportare P idea di sedersi a godere d'un festino, e poi andarsene senza pagare la sua parte. Non è nè un onore nè un privilegio essere ozioso ed inutile ; e sebbene taluni, di animo vile, possano sentirsi contenti di non aver a far altro che consumare — fruges consumere nati, — ogni uomo adorno di doti sufficienti, di virili pensieri, e di onesti propositi, stimerebbe un simile stato di vita contrario al verace onore ed alla sincera dignità.
   « Io non crederò (diceva lord Stanley, ora conte di Derby, a Glasgow) che un uomo scioperato, per quanto di buona indole e d® altronde rispettabile, sia mai stato, o possa mai essere veramente felice. Siccome il lavoro è la nostra vita, mostratemi ciò che sapete
   1 Giovanni Patteson, in età di 70 anni, invitato ad nn pranzo che si dava per nn concorso annuale di agricoltura a Feniton, Devon, colse quell'opportunità per combattere l'opinione, ancora troppo seguita, che un uomo non merita d' esser detto laborioso, se non affatica veramente coli' ossa e coi muscoli ; e disse : « Nel fare la rassegna mentale di altre adunanze simili a questa, io mi ricordo dell' amico mio Giovanni Pyle, che quasi mi rinfacciò di non aver io mai lavorato ; ma io gli risposi: Signor Pyle, voi non conoscete bene quello di cui parlate. Noi siamo tutti lavoratori. È tale l'uomo che ara, e che pianta la siepe, ma vi hanno anche altri lavoratori, in altre condizioni di vita. In quanto a me, io posso dire d' aver lavorato fin da fanciullo. Quindi l'informai che l'ufficio di giudice non era per nulla una sinecura: e che un giudice doveva affaticarsi duramente quanto altri mai. A lui danno lavoro le più difficili questioni legali che di continuo gli vengono messe innanzi, e lo affannano non poco ; oltre di che talvolta la vita de' suoi simili è nelle sue mani, e dipende assai dal modo col quale egli espone i fatti ai giurati. Il che non è lieve cosa, io posso assicurarvelo. Si pensi quel che si vuole, ma il vero si è: che nessuno può assistere a processi per sì lungo tempo, come io ho dovuto fare, senza convincersi della grande importanza e della gravità dei doveri che ad un giudice sono imposti. »