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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   racconto, d'una commedia y d'ima favola, d'una storia, e ria dicendo. D nostro protagonista era un ragazzo di quindici anni, figlio d'uno schiavo, e condotto a Roma in servitù. Egli capitò a mano d'un panattiere, che lo comprò per fargli girar la macina e triturare il grano; e quando il servo non lavorava, il duro padrone (che chiamavasi Quintiliano) adoperava la frusta ed il nerbo, e gli macerava le spalle. Il ragazzo però non era nato per girare la macina, ma per fare il poeta comico. Infatti, sapendo scriver bene, ad ogni momento di riposo abbozzava scene comiche; e la notte, appesa al palco del suo bugigattolo una lucerna di ferro, scriveva o scriveva, dipingendo mirabilmente su vecchi fogli di pergamena le scene più comiche e più ridevoli del popolo di Roma. Un di che il padrone era fuori, il ragazzo tralasciò il lavoro della macina, e si pose sull' uscio della bottega per istudiare dal vero i modi ed il linguaggio della plebe romana. Quintiliano gli fu addosso improvvisamente, e dato di piglio a uno staffile gridò: mascalzone, è questo il dover tuo? Invece di girare la macina stai in ascolto di quel che dicono i cittadini?
   -— Ma io era un poco stanco, rispondeva il servo.
   — Stanco? Per le grandi fatiche che fai? Infingardo! T'insegnerò io a star sull'uscio, intento ai fatti degli altri.
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   — Ma io...
   — Ma tu sei un insolente!... E prese a batterlo spietatamente. — Il ragazzo urlava, chiamando aiuto, di
   *