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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 140 —
   — Maramèo, ripetè Biagio, che aveva udito l'improvvisatore, e le osservazioni del cartaio e di Bartolino. — E ridevano tutti, perchè credevano impossibile che un cantore che non aveva se non l'anima e l'orecchio potesse divenire qualche cosa di buono, e farsi nome tra gli uomini, e non morire nella memoria del mondo col morire del corpo. La conclusione di questi loro pensieri, fu quella d'interrogare il signor Teòtimo se avesse voluto, o potuto tener parola di qualche poeta estemporaneo venuto in eccellenza. Nè molto ebbero a tardare; chè giunti al prato dov'erano schierati in mostra i bestiami bovini, lo videro intento ad un contratto di compra , e lasciarono che il compisse, e che il bifolco se n'andasse co' buoi alla Colombaia. Allora fattisi incontro al valentuomo, e salutatolo con riverenza, il cartaio prese a dire :
   — Vossignoria avrà forse veduto presso la soglia dell'osteria quel giovane che fa le rime alle spalle di tutti.
   — Oh sì l'ho veduto ed udito, e vi so dire che è nato con ottime disposizioni.
   — Lo credo ; ma ritengo non possa mai diventare qualcosa di buono.
   — E, perchè no ? Non sarebbe il primo nè il secondo; e di poeti nati in basso e saliti in alto ne abbiamo a dovizia.
   — La mi burla!
   — Non burlo, dico del miglior senno che m'abbia.