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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 130 —
   — Sono i pastori di quo* paesi.
   — Ora ho capito.
   —- Il capo-brigante, avuti da Salvatore alcuni disegni assai ben fatti, lo chiamò in disparte, e gli disse: Tu sei pittore, e sei un buon giovane. Ya, che sei libero. E battendogli la destra sulla spalla, lo lasciò andare.
   — Bravo, bravo! sclamò la comitiva.
   — Ciò vi mostri, proseguì il signor Teòtimo, che il sapere al mondo qualche cosa, giova sempre. Se Salvator Rosa fosse stato ignorante* avrebbe finito da ggat-tero, e forse forse sarebbe stato costretto a far pur esso il masnadiere.
   — Per dieci... e due dodici!
   — La pittura dunque riscattò il pittore; ma fece assai di più. Ritornato Salvator Rosa alla sua Napoli, dipinse paesaggi e dipinse di storia: le sue opere vennero nelle mani del cavalier Lanfranco (eh' era stato pur esso ne' suoi primordi povero e derelitto), e il cavaliere comprò, e pagò bene! alcune tele del Rosa. Questi, raggruzzolati danari, andò a Roma, dove si fece conoscere pittore, poeta, attore comico, improvvisatore, cantore ad un tempo. In carnevale rappresentò, nel Corso, Ser Formica e il capitano Coviello, due maschere sceniche burlesche : e, vestito da farmacista, dispensava rimedi per ogni male. Le sue ricette erano satire, tremende satire, staffilate magistrali che facevano levar la pelle. — Fa male ed avrai bene — antico proverbio. Quelle satire infatti gli valsero più che te pitture per
   *