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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 128 —
   aveva arabescato di figurette d'ogni fatta i chiostri e le logge del convento. Era un giorno di festa per Salvatore quando poteva recarsi da suo zio, pittor mediocre, e vederlo dipingere. Ma lo zio non sapeva nè coll'e-sempio, nè colla parola corrispondere al desiderio del ragazzo, il quale prese ad istruirsi da sè, guardando al mare dal golfo di Napoli, e copiandone la magnificenza, o internandosi ne' più riposti luoghi del paese, per riprodurne la selvaggia bellezza. Questa libera e studiosa vita durò poco; giacché gli morì il padre che egli aveva diciassette anni ; e allora, misero, senza congiunti, senz'amici, senza protettori, senza un nome conosciuto, doveva provvedere a sè medesimo e ad altri infelici. La madre ritornò alla sua famiglia nativa ; una sorella maggiore si gittò per le vie ; due piccoli fratellini vagavan laceri e smunti, invocando l'altrui pietà.
   — Poverini!
   — Salvatore, turbato l'animo, e sconvolta la mente, si cacciò per entro a folti boschi, e vi copiava le strane scene della natura. Quand'ecco un giorno, mentre schizzava le più selvagge vedute, fu colto improvvisamente da una masnada di briganti.
   — Briganti ! sciamò Isidoro ; ma c'erano anche allora i briganti?
   Oh sì, rispose il signor Teòtimo ; in quelle provincie meridionali, mal governate sempre, e tenute nell'ignoranza e nella superstizione, la vita del brigante è stata più o meno una vita di mestiere, non d'infamia. Oggi
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