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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

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a cura di Federico Adamoli

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   — 123 —
   — Non dico di quel Tintoretto, chè di scellerati non voglio parlare. Dico di un pittor veneziano che valse tant'oro. Suo padre era un tintore, perciò il figliuolo fu chiamato il tintoretto. Nacque nel 1512, e, di pochi anni, disegnava col carbone sui muri; ma disegnava bene, non a graffi e rampini, intendete? Il genitore lo pose a scuola dal famoso Tiziano, che egli imitò da prima, indi lasciò d'imitare per farsi una maniera tutta propria, con più movenza che non ha il Tiziano e più giuoco di chiaroscuro. Il Tintoretto (che chiamavasi Giacomo Robusti) fu il primo che allo studio delle statue aggiunse quello dei modelli vivi; e ciò (diceva egli) per non dipingere marmi. Questo valente artista fu piacevole ed arguto all' occasione, ma per P ordinario viveva ritirato, e lavorava indefesso. — Ora udite una sua bizzarria. — Viveva a que' giorni un certo Pietro Aretino, lingua maledica ed esecranda...
   — Scusi, interruppe il maestro, sarebbe quel Toscano, a cui fu scritto sul sepolcro un epitaffio satirico?
   — Appunto. Lo dica l'epitaffio, se lo rammenta.
   — Eccolo' :
   Qui giace VAretin, poeta Tosco, Che disse mal d'ognun, fuorché di Cristo, Scusandosi con dir: non lo conosco.
   — Più tremenda satira non poteva farsi a un birbante da galera qual fu l'Aretino. Costui dunque aveva sparlato del Tintoretto colla solita sua lingua mordace; e
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