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Enciclopedia Dantesca
Dizionario critico e ragionato di quanto concerne la vita e le opere di Dante Alighieri - Volume II - M-Z
Giovanni Andrea Scartazzini
Ulrico Hoepli Editore Milano, 1899, pagine 2200

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a cura di Federico Adamoli

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   Veltro
   2095
   al quale tenne poi dietro l'altro: Del Veltro allegorico de' Ghibellini (Nap., 1856) incominciò un nuovo periodo di svariatissime ipotesi concernenti il personaggio al quale Dante allude nel famoso vaticinio del Veltro. Con grande sfoggio di erudizione storica il Troya volle provare che nel Veltro Dante abbia figurato Uguccione della Faggiola, opinione accettata e propugnata da molti, come Tom., Br. B., Gioberti, Foscolo, Greg., Triss., ecc. Altri continuarono a ravvisare nel Veltro Can Grande della Scala; secondo altri il Veltro simboleggia un Capitano ghibellino, un personaggio indistinto (Frat., Sorio, Barelli, Goeschel, ecc.). Altri vede nel Veltro simboleggiato un monarca indeterminato, l'ideale del monarca dantesco (Bongio-vanni, Berardinelli, Ferrucci, Bellermann, Lubin, Franciosi, Gra-siani, ecc.), il quale monarca sarebbe l'imperatore Arrigo VII di Lussi mburgo (Eman. Hocco, Cento fanti, Accordi, ecc.). Nel suo romanzo storico intitolato Vita di Dante (4a ed., Mil., 1844, p. 327 e seg.) il Missirini stimò bene di scrivere: « Considerando lo spirito del Poeta, manifesto in tutti i suoi scritti, esser quello di voler tentare una rigenerazione di civiltà: considerando, come pure appare dalle dette sue opere, che questa riforma non può essere prodotta che dalla vera sapienza, posta da esso per unico mezzo di far prosperare il genere umano, perchè solo dessa fa conoscere cosa sia errore, cosa verità, e che sia giustizia, onestà e verace morale : e posto mente ancora all'alto concetto, che giustamente il Poeta avea di sè, tanto che potea facilmente credere possedere esso a preferenza d'ogni altro del suo secolo questa sapienza rigeneratrice; per tutte queste considerazioni ci induciamo ad affermare non aver voluto Dante indicare in quel Veltro che sè medesimo. E certamente se da forza di umano ingegno era lecito sperare un miglioramento nella intelligenza italiana e nel pubblico costume, dovea aversene fiducia nel solo suo ingegno. L'odiosità del quale vantamento di Dante, se odioso mai fosse, viene menomata dal riflettere, eh'ei noi fa da sè, ma gli viene detto da Virgilio, il quale senza arrossire potea destinarlo a quel riordinamento Italiano. » Questa interpretazione, lungo tempo negletta, per non dire derisa, fu negli ultimi tempi rinnovata e difesa con grande erudizione ma con poca fortuna dal Conte Ruggero della Torre nel suo grosso volume Poeta-Veltro (Cividale, 1887 e seg.) ed accettata da Silvio Scaetta (Il Veltro, Camerino, 1893) e da qualche altro, ma non ha in sostanza altro valore che quello di una curiosità letteraria. Lo stesso è a dirsi delle interpretazioni che Dante parli dell'amico suo Cino da Pistoja (Arcangeli), o di Botticella, figliuolo di Giovanni Bonacossi da Mantova (Arrivabene), o magari del Generale Garibaldi (Barlow), o del re Vittorio Emanuele (Sarabelli), o di Guglielmo I re di Prussia
   133. — Enciclopedia dantesca.