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Enciclopedia Dantesca
Dizionario critico e ragionato di quanto concerne la vita e le opere di Dante Alighieri - Volume II - M-Z
Giovanni Andrea Scartazzini
Ulrico Hoepli Editore Milano, 1899, pagine 2200
1302 Olii-Oimè, 0 me, Omè
Olii ed Oi, Voce che si manda fuori per dolore corporale o morale; Vit. N. xxni, 53; xxxiii, 19; xxxvm, 25; xxxix, 48. Oi legsre in questi quattro luoghi il Beck, nella sua ediz. crit. della Vit. N. Invece il Witte, in tutti e quattro i luoghi coi più 0, oppure Oh, che pare lezione da preferirsi.
Oimè, O me, Omè, Interjezione composta di oi e me, che si manda fuora o per afflizion d'animo, o per corporal doglia; ed è
10 stesso che Povero a me, Meschino a me, Dolente a me. Lat. Hen me e Hei mihi. La forma Oimè si trova nella Div. Com. una sola volta, Inf. xvii, 129; così pure l'altra Omè; Purg.xix, 106; Ome occorre 5 volte: Inf. xxi, 127; xxii, 91 ; xxv. 68; xxvii, 121; xxviii, 123. Ma nei due luoghi Inf. xxi, 127 e xxv, 68 alcuni vogliono che Ome valga semplicemente 0 mio. Così Caverni, ( Voci e Modi, 80): « Me', Mio; l'usa comunemente la plebe e il contadino fiorentino. Nel lamento di Cecco da Varlungo: Anzi mentre il me' cor trascini e struggi, I' ti vengo dirieto, e tu mi sfuggi; intorno al quale idiotismo leggesi in nota: Che gli antichi abbian detto meo per mio, eo per io, Deo per Dio e simili, è notissimo a chi ha qualche notizia degli scrittori del buon secolo. Siccome adunque da mio si fece mi', come si sente in bocca de' Sanesi, e come si legge nel sonetto V del Petrarca, P. I così da meo si fece me', come da tuo tu', da suo su', ecc. Me' si dice tuttodì dalla nostra plebe, e si legge ne' buoìii testi antichi, come in Dante Inf. xxi : 0 me'maestro, che è quel eh' i' veggio. Dal che si vede quanto ingiustamente
11 Gigli nel suo Vocabolario cateriniano biasima i fiorentini che dicono il me' pane, il me' fratello. Così il Marrini, ma nell'edizioni recenti contraffatte dalla pedanteria galante de' letterati si trova l'O me' convertito in Omè esclamativo, e così il gusto plebeo di Dante ha dovuto cedere e patire di accomodarsi alle orecchie schifiltose di queste sninfie. Altra simile pietosa correzione è stata fatta da' letterati al v. 68 del xxv pur dell Inf., e quell'O me' Agnel, come ti muti, l'hanno al solito contraffatto in Omè! Agnel, come ti midi. Chi ha senso del vivente parlare toscano s'accorge della differenza eh'è tra 1'un modo e l'altro, e come questo secondo sia cosa da pedanti rispetto alla vivezza e alla efficacia del primo. Il possessivo mio non sempre congiungesi a' nomi invocati in significazione di affetto, ma talvolta ha senso d'ironia e di riprensione, come nelle frasi seguenti : Tu avevi fatto assegnamento sulla mi' roba, il mi' minchione !... Eh il mi' ragazzo, tu' vuoi pure andare a finir male.. Tale è il significato di quel me' o mio, detto ad Agnolo Bru-nelleschi da' due dannati consorti. » - Potrebbe stare ; giova però consultare i commentatori fiorentini antichi. Ott. ad Inf. xxt, 127: