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Enciclopedia Dantesca
Dizionario critico e ragionato di quanto concerne la vita e le opere di Dante Alighieri - Volume II - M-Z
Giovanni Andrea Scartazzini
Ulrico Hoepli Editore Milano, 1899, pagine 2200

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a cura di Federico Adamoli

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   Monarchia, De
   1269
   est maximura donum human» naturse a Deo collatum, sicut in Paradiso Comedice iam dixi. Con queste parole Dante rimanda al luogo Par. V, 19 e seg. Dunque egli scriveva il De Mon. dopo aver già dettato il Canto V del Par. e per conseguenza negli ultimi anni della sua vita, non prima del 1319 o 1320. Ammessa l'autenticità delle parole Sicut in Paradiso Comedice iam dixi l'argomento è decisivo e non ammette replica. Ma appunto l'autenticità di queste parole è disputabile (cfr. Witte, De Mon., p. 23. Giuliani, Op. lat. di D. t, 338Ì. Si trovano veramente nel più dei codd.; ma come va che parole di tanta importanza mancano in alcuni codd.? La questione non è decisa e la si potrà decidere soltanto quando avremo una edizione critica definitiva del De Mon. - 2. Par. n, 58 e seg. Dante si ferma a lungo a combattere e confutare un' opinione sulle Macchie lunari da lui stesso già accettata ed emessa Conv. lì, 14. Nel De Mon. ni, 4 Dante tiene in proposito la medesima opinione esternata e propugnata nel Par. Se dunque non si vuole ammettere che Dante abbracciasse prima una opinione, la lasciasse poi per abbracciarne un' altra tutto diversa, e ritornasse più tardi di nuovo alla prima, combattendo energicamente la seconda, si dovrà ammettere che il Par. ed il De Mon. furono dettati nella medesima epoca della sua vita. L' argomento è assai grave e minaccia di distruggere l'opinione che Dante abbia dettato il De Mon. prima del 1309. Ma esso non prova poi che lo dettasse negli ultimi anni della sua vita; prova soltanto che lo dettò dopo aver già scritto il trattato II del Conv. - 3. Tra De Mon., Par., Epist. a Can Grande e la Qucestio de aqua et terra l'affinità di concetti e di espressioni è tale, che si deve di necessità ammettere che queste opere furono dettate nella medesima epoca, dunque negli ultimi anni della vita di Dante. Ma la Qucestio è una sciocca falsificazione, la quale con Dante non ha che vedere, l'epistola a Can Grande è veementemente sospetta e l'affinità col Par. si spiega a sufficienza dall'identità dell' argomento pertrattato nelle due opere, anche astrazion facendo dal tempo in cui furono dettate. - 4. Nel Conv. e Vulg. El. Virgilio è costantemente citato col semplice nome, tranne in un solo passo (Conv. ìv, 26, 45) dove è detto Lo maggior nostro Poeta; nel De Mon. lo si chiama invece costantemente Poeta noster, Noster va-tes, Divinus noster poeta Virgilius ecc., dal qual fatto si inferisce che il De Mon. suppone un pubblico il quale già conosce VInf. ed il Purg. La conclusione è avventata. Altri potrebbe concludere viceversa, che gli aggiunti Poeta noster, Noster vates, Divinus noster poeta, ecc., devono la loro origine all'entusiasmo giovanile di Dante per lo suo Maestro ed autore, e che in età più avanzata il Poeta non si curò più di queste inezie.