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Enciclopedia Dantesca
Dizionario critico e ragionato di quanto concerne la vita e le opere di Dante Alighieri - Volume I - A-L
Giovanni Andrea Scartazzini
Ulrico Hoepli Editore Milano, 1896, pagine 1169

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a cura di Federico Adamoli

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   Ante, voc. lat., Avanti, Prima di, ecc. Purg. vrn, 13; cfr. Te lucis ante.
   Antecessore, dal lat. antecessor, Colui che è stato avanti ad altri nel medesimo grado o ufficio per lo più immediatamente; opposto a Successore; Inf. xxvll, 105, dove Bonifazio VIII parla di Celestino V. Cfr. Celestino.
   Antelucano, dal lat. antelucanus, Add. Che Viene avanti il dì, Che precede il dì; detto dello splendore che si vede apparire avanti l'aurora; Purg. xxvit, 109.
   Antenati di Dante. « I Maggiori di Dante furono di Firenze di molto antica stirpe, intantochè lui pare volere in alcuni luoghi i suoi antichi essere stati di quelli Romani che posero Firenze. Ma questa è cosa molto incerta, e, secondo mio parere, niente è altro che indovinare; » L. Bruni, Vita di D. in princ. Il più antico degli antenati del Poeta che si trova nominato è quel Caccia-guida del quale si parla Par. xv e xvi. Dante afferma che gli antichi di Cacciaguida avevano le loro case nel centro della città, cioè nel sesto di Porta san Piero, dove erano pure le case degli Elisei, il che indicava antica origine Fiorentina (Par. xvi, 40 e seg.). In un altro luogo (Inf. xv, 73-78) Dante sembra veramente menar vanto di discendere dagli antichi Romani che, secondo la tradizione, fondarono Firenze. Ma forse quelle parole alludono a discendenza di virtù, anzi che di sangue. L'osservazione, che le parole «onde venner quivi » (Par. xvi, 44; cfr. Coni. Lips. in, 428. Bartoli, Lett. itaì. V, 4 nt. 2) escludono il vanto di discendenza romana, non regge, potendo il Poeta voler dire, che quei tali suoi maggiori furono di quei Romani che « vennero da Roma alla cittade che Cesare edificava » (Vill. i, 28), cioè a Firenze, oppure di quegli altri Romani che « vennono » da Roma a Firenze quando questa città « fu redi-fìcata colla potenzia di Carlo Magno e de' Romani » (Vill. lii, 1), nel qual caso le parole di Dante suonerebbero modestia di chi non vuol menar vanto di alta discendenza, - modestia veramente un po' strana appunto là dove e' confessa di essersi gloriato della sua « poca nobiltà di sangue » (Par. xvi, 1 e seg.). Inattendibile sembra l'opinione, che per vergogna Dante non abbia voluto parlare dei maggiori di Cacciaguida, essendo stati ignobili e vili. Comunque siasi, il fatto è, che dei maggiori suoi, anteriori a Cacciaguida, il Poeta non dice nulla affatto, che nulla affatto ne sa la storia, e che per conseguenza nulla affatto ne sappiamo noi.
   Sopra Cacciaguida, la cui esistenza è storicamente accertata e che nel dicembre del 1189 non viveva più, cfr. l'art. Cacciaguida; sui