Umberto Adamoli
Nel turbinio d'una tempesta
(dalle pagine del mio diario. 1943-1944)



Nel popolo

[63] Ma era pur sempre il comune, genuina espressione del popolo, che, come faro luminoso, splendeva nel centro della città; che infondeva fiducia, coraggio, sicurezza; che aiutava a ritrovare la via del porto, tra i marosi della tempesta. Quel comune, al quale si rivolgevano, in tutte le ore, cittadini di ogni condizione, funzionari di ogni ordine, per notizie, consigli, incoraggiamento, conforto. Molto si voleva sapere dal comune, anche su la situazione militare, su la direzione di marcia degli alleati, nella loro avanzata; sui disegni dei Tedeschi, nella loro resistenza e nella loro ritirata.
Il comune, con molta disinvoltura, dissipava apprensioni, fugava timori.
La città appariva, quindi, ciò che destava molta meraviglia ai forestieri che vi giungevano, tranquilla come nei tempi migliori. Vi si vedevano, infatti, i caffè, le botteghe, il mercato con la consueta chiassosa clientela; il corso, le piazze, i giardini, il cinematografo, il teatro, in ogni ora gremiti del consueto spensierato pubblico; i lavoratori, senza preoccupazioni, nella loro ordinaria attività.
Ed il martello s'udiva, sin dal mattino, allegramente martellare, nella officina nera del fabbro; s'udiva la sega e la pialla, nella bottega del falegname. Aperte erano, e nel loro lavoro, le botteghe del sarto e del calzolaio. Non mancavano, nell' alto delle impalcature, i maestri della cazzuola, in quelle costruzioni, che potevano essere, da un momento all' altro, distrutte dai torvi vandali dell' aria.
E dai campi, percorsi dai pigri buoi, vittime spesso essi stessi di mitragliamenti, saliva il canto del lavoro, della santa fecondità.
[64] Il Podestà ne era lieto, soddisfatto, ed oggi dà atto, con orgoglio, per i presenti e per i futuri, del fermo contegno e della utile laboriosità, in momenti così tragici, dei suoi bravi concittadini. Quei concittadini, che senza sciocche spavalderie e senza avvilimenti, ma con molto buon senso, con condotta seria e dignitosa, sapevano imporre ai Tedeschi molto rispetto.
Qualche volta lo preoccupava, però, la troppa confidenza con il pericolo, costituito, principalmente, dagli apparecchi, che, giungendo minacciosi su la città, da un momento all' altro, potevano seminare tra essi desolazione e morte.
Ragione d' orgoglio costituiva anche il contegno delle donne, che, negli allarmi, anch' esse rimanevano serene al loro posto, ovunque si trovassero: nelle abitazioni e negli uffici, nei campi e nelle officine. Rimanevano al loro posto, anche quando, come nell' Asilo e nella Casa della Madre e del Fanciullo, scoppi fragorosi di bombe ne sconvolgevano il giardino, ne frantumavano i vetri, ne lesionavano i muri.
Commuovevano ancora quelle madri che, all'apparire degli aeroplani, correvano a raccogliere, a coprire con il loro corpo, come le chiocce, i figli, che supponevano in pericolo, disposte sempre ad offrire la propria vita, per salvare quella degli stessi figli, se comunque minacciata.
Ma sapevano anche queste brave donne compiere altri forti atti.
Due soldati tedeschi, ad esempio, entravano un giorno, avvinazzati, in una delle case di S. Nicolò al Tordino. Non vi era, in quel momento, che una donna, contro la quale volevano usare violenza.
Non si perdeva d'animo la coraggiosa popolana. Quando pareva ad essa che i mezzi pacifici non erano più sufficienti ad allontanare il pericolo, da cui si vedeva minacciata, brandiva una scure e colpiva alla testa uno degli aggressori ponendo in fuga l'altro.
[65] Il comando tedesco, che provvedeva a ritirare, in condizioni gravi, il ferito, nessun provvedimento adottava contro la donna, che aveva provveduto da sè a tutelare la propria persona, il proprio onore.

Il popolo, che spiegava, in ogni ordine, tanta virilità, era anche sensibile per le opere buone. Rispondeva, con generosa larghezza, agli appelli ad esso rivolti, per i soccorsi da prodigare ai naufraghi della vita, nobilmente gareggiando con i ricchi, davvero prodighi in questa umanitaria manifestazione.
Le benedizioni che da ogni parte giungevano al Podestà, per i sollievi arrecati alle umane sofferenze, si dovevano intendere dirette a tutti questi benefattori, i cui nomi sono consacrati in un elenco, conservato, per la storia, nell' archivio comunale.
Si dovevano intendere dirette a quelle tante popolane, che unitamente ad una schiera di coraggiose e generose signore, andavano, di contrada in contrada, di strada in strada, di casa in casa, a raccogliere, per quei naufraghi, danaro, suppellettili di ogni specie, biancheria, vestiti.
Ma tutti questi oggetti, prima della distribuzione, dalle stesse brave raccoglitrici, erano ripuliti, disinfettati, rattoppati, messi a nuovo.
Spesso quello stesso popolo, elevandosi ad un senso superiore di sacrificio e d'umanità, metteva a disposizione di coloro che, nello sfollamento, ne erano rimasti senza, persino la propria casa, il proprio tugurio, il proprio letto.
Non mancavano, in questa opera buona, neppure i ragazzzi, specialmente quelli delle scuole. Accompagnati dai propri insegnanti, spesso dal prof. Sabatino De Patre e dalla professoressa Maria Righetti, si presentavano di frequente nel refettorio di Piazza Muzi, a mezzogiorno, per offrire agli sfollati quanto in cibi di ogni qualità avevano raccolto, andando anch'essi, con fanciullesco entusiasmo, di bottega in bottega, di casa in casa, in santa questua.
Ma anche questo popolo non sfuggiva del tutto al comune contagio, in una forma, però, così attenuata, da non toccare che in minima parte la sua sanità.
Quando, di conseguenza, le passioni non turberanno più gli animi, non potrà il sereno aedo non cantare, ancora una volta, il canto che riconsacri, alle future generazioni, il valore di questo vecchio forte popolo pretuziano.

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