Umberto Adamoli

L'ultimo convegno

       Era una bigia giornata del bigio, malinconico autunno. Non pioveva, ma la nebbia, l'uggia e l'umidità penetravano e mettevano nel sangue brividi di freddo e nell'anima brividi di mestizia. Non pioveva, ma la natura, con i veli neri, pareva che, in un pianto segreto e profondo, posasse raccolta nel dolore e nel lutto. E le foglie, come le speranze, eran cadute; i fiori, come i vani sogni, appassiti; e l'aria resa pesante. Anche la natura, così, dopo la serena calma e le delizie della mite primavera; dopo la letizia, le dovizie, gli splendori dell'estate, ha, con l'autunno e con l'inverno, le sue ore desolate e tristi, soffre le stesse vicende dei poveri mortali!
       Ella, l'amorosa donna, andava all'ultimo convegno come un automa, mesta, accorata, pallida, col sangue in subbuglio, con l'anima in tempesta, col cuore in pianto. L'addio, l'ultimo addio, procura sempre mortale angoscia. Ed ella andando vedeva, nell'accesa e tribolata fantasia, svanire le più care visioni, vedeva sorgere, nel risveglio, nell'incantato giardino d'amore, nere piante, pungenti roveri.
       Somigliano, sono simili la natura e la vita! Mentre i ruscelli corrono nei verdi prati, limpidi e freschi; mentre i giardini, i boschetti, le campagne fioriscono con i fiori più belli, e cantano, con i cento canti arcani, le canzoni della vitalità e dell'amore, una nera nube appare in cielo. E la nube, sgomentando, avanza, s'ingrossa, s'allarga e, livida ed implacabile, con bieca forza, si rovescia, tempesta, distrugge, getta la desolazione ed il lutto.
       Ed ella, la trepida amorosa, andava all'ultimo convegno come condottavi da una forza cieca ed inesorabile, senza possibilità di resistenza, senza speranza di rinvio.
       Strane condizioni e più strane, inesplicabili situazioni del cuore e della vita!
       Si erano conosciuti per caso. Ella, con l'anima aperta a tutte le sensazioni, alla poesia più squisita, alle voci più dolci, tendeva alle liete gioconde avventure. Non voleva, nella sua vivacità, nel caldo fervore, essere gioco dei falsi pregiudizi, della fugacità e volubilità della fortuna e del tempo. Nell'animo di lui, avvolto da chimere, fiammeggiavano sentimenti, vi erano inclinazioni non dissimili. Non avevano tardato, quindi, le rosse frecce, i rossi strali a far breccia nei loro vibranti cuori; non aveva tardata la simpatia, dolce aurora, dolce prologo di più dolce poema, d'accendersi in loro vivissima.
       E si erano riveduti senza ancora nulla dirsi, ma sentivano già in sè viva la dolce battaglia; sentivano che una corrispondenza di amorosi sensi s'era tra loro stabilita; sentivano che non sarebbero sfuggiti al rosso laccio, da cui erano avvinti. Nulla non s'erano detto, ma avevano ben parlato, in modo chiaro, la loro agitazione, la languidezza dei loro sguardi, il pallore dei loro visi.
       Talora, sedendo ne' campi fioriti, lanciavano muti, gli animi nel regno fantastico dei sogni; talora avvolti dal fascino dei tramonti di fiamma, guardando la distesa azzurra del mare e le bianche vele vaganti come fantasmi, si smarrivano nell'infinito tenue azzurro delle cose.
       Essi non s'erano ancora nulla detto, poichè spesso i forti turbamenti, i forti affetti non hanno parola; ma si erano ben compresi e comprendevano che di momenti in momento la vaga dea, rappresentata dalla mistica stella che ogni sera avevano visto discendere d'estate, dopo il sole, in un nugolo di fuoco e d'oro, li avrebbe gettati irresistibilmente nelle braccia l'un dell'altro. E l'abbraccio giunse, e l'abbraccio, nel delizioso smarrimento, era stato un'ebbrezza nuova, ed il bacio che ne seguiva una dolcezza senza limiti, una voluttà senza nome. E nella fervida esaltazione, nell'amorosa ubriachezza, si parlarono, finalmente, mentre la natura in tripudio inalzava intorno il suo osanna, il canto dell'amore, l'inno della vittoria.
       Ed erano seguiti ore d'immensa gioia, giorni d'ineffabile felicità.
       Ed ora erano già là per l'ultima volta, per l'ultimo abbraccio, per l'ultimo convegno, meditando amaramente sulla vanità, sulla volubilità, sulla fugacità delle cose umane. Si guardarono, si carezzarono, si baciarono senza parlarsi. E nell'angoscia, nelle penose riflessioni, vedendo tutto nero, pareva loro che, dopo il distacco, la vita non avesse più gioie, non avesse più sorrisi, non offrisse più attrattive; pareva che non vi fosse per loro più posto nel mondo.
       E giunse, con l'ultimo abbraccio, con l'ultimo disperato, caldo bacio, in un sussurro flebile come di agonia, il fatale inesorabile momento della separazione. Egli, in uno sforzo supremo, si scuoteva, dolcemente si scioglieva dalla stretta, andava, s'allontanava, scompariva. Ella rimaneva ancora in quel povero posto come inebetita, come pietrificata. Non si sarebbero più incontrati, non si sarebbero più visti, mai più!
       Ed aveva veduto allontanare il suo bene, come in una piovosa giornata d'autunno si può vedere una barca dalle nere vele, una nera barca che va, cammina, corre con le cose più care e preziose, con gli affetti più cari, con le persone più amate, verso l'ignoto, verso il nulla; e va come spinta, come attratta da un feroce, inesorabile destino; e va, s'allontana, entra nella caligine, s'attenua, s'impicciolisce, giunge all'orizzonte e declina, e scompare, scompare come se precipitasse, con tutto il prezioso carico, in un baratro senza fondo, per sempre.
       Poi anch'ella, come svegliata dall'incubo di nere visioni notturne, si moveva, si scuoteva. Guardato, senza nulla vedere, dalla parte in cui l'amato s'era allontanato, rompeva in singhiozzi, rompeva in pianto.
       - Addio! Addio! -
       Intanto la notte sopraggiunta, mentre dai villaggi si diffondevano mesti gli ultimi rintocchi dell'avemaria, avvolgeva, con le sue ombre, con il suo nero manto, con i suoi misteri, poveri mortali.

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