Umberto Adamoli

Discorso tenuto in Chieti in occasione della inaugurazione della sala dei convegni della caserma... - 5 luglio 1926


Nel decorso anno, nella stessa giornata di oggi, aii pochi presenti, ebbi già a dire, nella rapida rievocazione storica, come il Corpo della R. Guardia di Finanza non sorgesse così d'improvviso, in forza di un decreto, per desiderio o volontà di un uomo o di un governo, ma come si trovasse nella vita nazionale quasi nato con essa, a sostegno, a protezione, a difesa della sua stessa esistenza, del suo sviluppo, della sua floridezza, de' suoi diritti. Dicevo anche come non fosse possibile precisare quando questo Corpo nascesse, si sviluppasse, si consolidasse.
Nella storia di ogni tempo, nella ora lieta or dolorosa storia di questa magnifica terra, che è l'Italia nostra, con vari nomi si trovano accenni ad armati che sembra vogliano corrispondere, somigliare, nei fini e nello spirito, agli odierni soldati delle fiamme gialle. Monsignor Beccaria, cappellano primo di Corte, nel benedire dodici anni or sono la nostra Bandiera di combattimento, nel giorno della consegna, nel suo discorso elevato e di uomo dotto, pronunciato nel santo rito, ci faceva discendere dai veliti, dai pubblicani quindi, dal Corpo dei cavalieri, chiamati da Cicerone uomini amplissimi, onestissimi, ornatissimi. Altri ci fanno nascere con i marchesati, con la missione di guardare e di difendere, sotto ogni aspetto, nella Roma imperiale, le province di confine.
Certo, l'origine è antica, come antiche sono le frontiere, i limiti del territorio entro cui ogni popolo ed ogni razza, in tranquilla sicurezza, svolgono la propria attività, compiono il proprio ciclo, compongono, nelle varie vicende, il poema del vivere e della vita. Ma venendo in tempi a noi vicini ed alle notizie e ai documenti sicuri si trova come, nella smembrata Italia nostra, il primo Corpo di Finanza, con pretto carattere militare, fosse costituito nello Stato pontificio, nel 1786. Non molto tempo dopo nel maggio 1791 la Francia rivoluzionaria, per la guardia fiscale e militare del confine, creava quel magnifico Corpo dei cacciatori verdi, Corpo che ebbe ad essere poi tra i più cari al genio della guerra, a Napoleone, e col quale, su tutti i campi di battaglia, ebbe a scrivere gloriose pagine di valore e di eroismo. Il Regno italico istituiva, prendendo a modello quello francese, un Corpo di 3500 finanzieri, dalle cui glorie si può sicuramente far discendere la Guardia delle frontiere della nuova Italia imperiale di oggi.
Quando, però, nel 1861, sotto la possente guida e forza del Gran Re, se non alla completa unità, verso cui con ogni sforzo si tendeva, si addiveniva, in ogni modo, alla formazione di uno stato italiano, non si risolveva, come si conveniva e come consigliavano i precedenti, il problema di questo Corpo, che si presentava all'adunata con sette divise, ma con una sola grande anima italiana e nazionale e con elevate aspirazioni.
Avevano i finanzieri, come tutti gli italiani, per necessità di avversi eventi, servito sino a quel momento a sette padroni, ma non avevano asservita ad essi la loro anima e quando si trattava di operare per l'indipendenza, per l'unità, per la salute della patria, ai sette padroni sostituivano un sol padrone caro e possente: l'Italia, ed essi si trasformavano in soldati italiani, in prodi soldati della santa causa italiana. I governi tirannici, quindi, li tenevano in sospetto e, dal loro punto di vista, non a torto, poiché essi, nelle sante cospirazioni e nei moti si trovavano sempre ed ovunque al posto d'onore.
Il governo provvisorio di Milano invero, presieduto dall'illustre patriota Gabrio Casati, in un proclama del 1. aprile del 1848, nell'esprimere la propria gratitudine, così parlava alle guardie di Finanza:
"Nel giorno del pericolo non avete indugiato di ricordarvi di essere italiani, e non solo avete rispettato il vincolo fraterno, ma da prodi combatteste per la nostra santa causa.
La patria vi è riconoscente e si compiace di rendervene pubblica testimonianza".
E combatterono a Sorio, a Montebello, a Brescia, ad Anfo, a Bagolino, a Montesuello. Luciano Manara, prode tra i prodi, dopo la capitolazione di Milano, a formare il suo battaglione glorioso, volle con se, quale nerbo preminente, a premio del loro eroismo, i sette Ufficiali e i 450 finanzieri superstiti lombardi.
"Uomini arditi" dice di loro l'illustre Senatore Rava come premessa ad uno storico libro "dalla risoluzione pronta e dall'impeto audace; truppa salda, dal cuore fermo nel pericolo, forte nelle privazioni, sereno nel sacrificio".
"Tra quelli che vollero e seppero furono sempre i finanzieri quelli di Bologna che combatterono nell'8 agosto 1848 e poi nella difesa cittadina del 1849; quelli di Ancona, che per tutti i 127 giorni, durata nel 1849 la difesa memoranda, stettero in prima linea infaticabili, esempio luminoso di resistenza, di perizia e di valore; quelli di Roma, gareggiarono coi fratelli lombardi in devozione della Patria, in altezza di sacrificio durante la difesa della Repubblica romana".
Emilio Morosini scriveva il 1. maggio "Ai giardini i Finanzieri vennero alla baionetta con successo" e Manara "I Finanzieri si comportarono mirabilmente" e Guerrazzi, nei documenti dell'assedio di Roma "I Finanzieri, 9 maggio, tentarono con incredibile valore una seconda volta l'assalto". Il generale Serafini, più tardi, nel 1880, alla camera italiana dichiarava: "Ho avuto occasione di vedere durante l'assedio di Roma come combattevano i Finanzieri e di ammirarne il loro valore, non solo, ma anche la loro disciplina".
Garibaldi si valeva dei Finanzieri nelle imprese più ardite. Finanzieri quasi tutti - bersaglieri lombardi e bersaglieri del Tebro - furono i forti che a Villa Spada, il 30 giugno, scrissero col sangue l'ultimo canto della gesta immortale, sostenendo con eroica disperazione, l'impeto della fiumana nemica.
Seguivano, poi, come retroguardia preziosa, la fuga leggendaria dell'eroe dei due Mondi. Non tutti, però, potevano seguire Garibaldi! Molti furono imprigionati, molti dovettero subire il patibolo, tra cui i finanzieri Mancini Ignazio, Marioni Giovanni e Rambelli Epaminonda. Il supplizio ebbe luogo il 24 Gennaio 1854 a Roma, in Piazza dei Cerchi. Lungo la via i tamburi dovettero rullare continuamente per coprire la voce dei tre prodi, i quali andavano verso il patibolo come a festa cantando in coro il canto caro a Garibaldi: "Chi per la patria muor, Vissuto è assai ecc."
Il Rambelli, asceso sereno ed intrepido il fatale palco, prima di posare il capo sul ceppo, gridava con voce alta e sonora: "Viva l'Italia. Siate forti compagni". Il Mancini, secondo, ne imitava intrepidamente l'esempio. Il Marioni, ultimi nell'ascesa, ma non ultimo nell'intrepidezza, rivolto un commosso saluto ed un caloroso encomio allo stoico coraggio ed alla balda serena fierezza dei compagni caduti, porgeva anch'egli, con eguale stoico coraggio e fierezza, il capo alla mannaia.
E' bene, è doveroso non dimenticare nel tripudio e nella festa questi eroi della bella giovinezza d'Italia, ché non soltanto eroi nostri, ma sono soprattutto eroi santi dell'umanità, eroi santi della Patria.
Ma i superstiti delle cento avventure e delle cento battaglie, i superstiti gli scampati dalle galere e dalle forche, non domi, nelle epiche lotte della riscossa, ricomparivano sui campi della gloria e dei prodigi. Il generale Corvetto poteva ancora dire di essi nel 1880, alla camera italiana:
"Nel 1859 ho visto al fuoco i Finanzieri e si sono comportati da valorosi soldati".
Questi erano i Finanzieri dalle sette divise, ma da un sol cuore saldo e da una sola anima eroica italiana, che si presentavano a formare il nuovo Corpo della Patria redenta.
Di conseguenza, a giusta ragione, nel primo progetto dopo l'unificazione, nel 1862, si proponeva senz'altro dai buoni patrioti, alla stessa guisa dei Carabinieri, un ordinamento militare con dipendenza dal Ministero della Guerra.
Il Ministro Quintino Sella, che nobilmente ne sosteneva, ne propugnava la giusta causa, tra l'altro, al Parlamento nazionale, con amaro animo per l'inesplicabile contrasto incontrato, diceva:
"Io non capisco come si voglia negare l'organizzazione militare alle guardie di Finanza, le quali sono coi carabinieri soldati in istato perpetuo di guerra, perché perpetuamente hanno a disimpegnare i loro doveri con disagio grandissimo della persona non senza pericolo della vita".
Quei Signori, come spesso accade delle cose giuste, non capirono, ed il progetto non era approvato, giungendosi solo ad un ordinamento misto, ibrido, illogico. I buoni militi, essendo sempre l'eroismo accoppiato alla generosità non se ne sconfortarono, non se ne adornarono e nel 1866 accorsero ancora, con la consueta serenità e la consueta bravura, nella nuova guerra contro gli austriaci. La relazione su quegli avvenimenti diretta dal Direttore Generale delle Gabelle al Ministero delle Finanze concludeva:
"Ecco accennati brevemente, Eccellenza, i fatti delle Guardie di Finanza durante la guerra. L'ardore, il senso di abnegazione da cui si mostrarono tutte informate all'aprirsi dell'ostilità, chiarisce come un sincero amore patrio scaldi i loro petti e da questa virtù generatrice di ogni altra vuol dedursi il bello avvenire che sotto i potenti e benevoli auspici dell'E.V. a questo Corpo è riservato".
Ma l'avvenire auspicato con tanta nobiltà, con tanto fervore doveva essere conquistato faticosamente, a costo di altri duri sacrifici, a prezzo di altro cospicuo sangue. Ed invero, dopo una sequela di modesti decreti, solo nel 1896 si concedeva al Corpo una prima importante riforma, con la quale si rafforzava l'ordine, la disciplina, il carattere militare. Altra più importante riforma poiché si decretava la sua autonomia e il completo pareggiamento col R. Esercito, era accordata nel 1906.
La R. Guardia di Finanza, pure nella silenziosa operosità, nel silenzioso sacrificio, era riuscita a scuotere, a volgere in suo favore anche i pavidi. Evidentemente, se ne incominciava a conoscere la storia e più ancora incominciavano a mordere, a pesare un po' troppo sulla coscienza degli italiani le sante vittime del dovere che dormivano numerose, senza riconoscenza e senza ricordo, nell'ombra dei bianchi e solitari camposanti alpestri, dei nostri cimiteri di guerra del tempo di pace.
Nel 1907 il Corpo si poteva fregiare della speciale caratteristica del soldato: delle stellette. Nel 1911, finalmente, a riconoscenza di tutte le sue benemerenze e delle sue virtù, si decretava ancora a suo favore la concessione della sacra Bandiera.
Il Generale Spingardi, Ministro della Guerra, nella relazione di proposta a S.M. il Re così ne compendiava i meriti:
"Sire, Alla Maestà Vostra è ben nota quanto ardimentosa ed efficace sia stata l'azione dei Finanzieri nelle vicende epiche del nostro risorgimento nazionale. Non vi è quasi nessuno dei moti insurrezionali e delle guerre combattute in Italia contro lo straniero in cui non rifulgano l'ardore, l'intrepidezza e lo spirito di sacrificio dei Finanzieri.
Allo scopo, quindi, di perpetuare il ricordo delle belle tradizioni militari e patriottiche che costituiscono il patrimonio prezioso della R. Guardia di Finanza sono stati eseguiti studi e ricerche per ricostruire con precisa verità storica i fasti gloriosi dei Finanzieri e la documentazione che sin qui è stata fatta permette di stabillire anche nei particolari, che essi hanno preso collettivamente parte ai moti insurrezionali ed alle campagne di guerra degli anni 1848-1849-1859-1860-1866.
Sembrò, quindi, che il sangue generosamente versato dai predecessori della R. Guardia di Finanza in difficili cimenti del patrio riscatto meritasse di essere degnamente onorato in questo anno in cui si celebra con tanta solennità il cinquantenario della nostra indipendenza e che in niuna guisa migliore si potesse farlo che concedendo al Corpo stesso il simbolo glorioso e sacro dell'unità della Patria Italiana.
Nella fiducia che la M.V. voglia benignamente accogliere questa doverosa proposta, sottopongo all'Augusta Vostra firma il decreto di concessione della Bandiera alla R. Guardia di Finanza".
S.M. il Re, che bene conosceva i suoi finanzieri, non soltanto firmava, ma voleva Egli stesso, il 7 Giugno 1914, nella forma più solenne, dinanzi al popolo di Roma, e dei rappresentanti del mondo, consegnare la Bandiera con le seguenti parole:
"Alla R. Guardia di Finanza, che nelle lotte per l'indipendenza nazionale e nella recente guerra Libica diede tante prove di patriottismo e di valore, consegno questa Bandiera con la fiducia che saprà, in ogni occasione, gelosamente custodirla, e mostrarsi degna dell'altissimo onore che le viene oggi conferito".
La Sovrana fiducia, nei prossimi grandi avvenimenti, non doveva essere delusa!
Quando il 23 Maggio 1915 suonava ancora la sacra diana, i soldati gialli fedelissimi, quasi volontari, a battaglioni, marciarono ancora una volta, fieri ed eroici, come i Finanzieri di Fortunato Calvi, di Luciano Manara, di Garibaldi, verso i nuovi sacrifici di sangue e verso la gloria. E ad essi, ad una loro pattuglia, nella memoranda notte toccava la fortuna e l'onore di accendere sul Iudrio la gigantesca battaglia, sparando per i primi i primi colpi ed uccidendo i primi nemici che tentavano, all'inizio delle ostilità, varcare di sorpresa il sacro confine.
Il marmo, fissato sul posto, tramanda ai venturi il fortunato storico evento!
E sul gambo della freccia di quella Bandiera, consegnataci con sicura fiducia da S.M. il Re, decorata già di due medaglie al valore a perpetuo ricordo dei maggiori fatti d'arme, ai quali presero eroica parte i Finanzieri e del terreno bagnato del loro purissimo sangue oggi superbamente si legge:
1915: Ala (27 Maggio); Monte Croce Carnico (9-19 Giugno); Podgora (5-19 Luglio); Monte sei Busi (Luglio);
1916: Monte Sperone (6-14 Aprile); Costesin-Val d'Astico (Maggio); Monte Collo-Torrente Maso (Aprile-Maggio); Val d'Astico (Maggio-Luglio); Carso (Giugno-10 Agosto-4 Settembre);
1917: Albania-Osum (Settembre-Novembre); Piave Vecchio (18-19 Dicembre);
1918: Due Piavi (15 Giugno-7 Luglio); Albania (Luglio-Agosto).
Sarebbe da ricordare tutti gli avvenimenti cui le date si riferiscono a soddisfazione di questo sano Corpo, non ancora bene conosciuto ed apprezzato, e le località, i nomi delle quali da sé solo costituiscono un'epopea, una gloria di guerra; sarebbe da ricordare i giudizi, l'elogio, il giusto omaggio dei Comandanti delle unità mobilitate e dei corrispondenti di guerra, resi all'opera, al valore, all'eroismo, al sacrificio della R. Guardia di Finanza. Sarebbe da ricordare come al Costesin, nel maggio del 1916, per più giorni, i militari del 1. Battaglione, resistevano mirabilmente ad uno dei più grandiosi bombardamenti e degli assalti più feroci eseguiti con temeraria disperazione ed a scopo punitivo, dalle più imbaldanzite e robuste truppe nemiche, superiori di cento volte, ubriache di liquori, d'odio, di vendetta e di bieco spirito di rapina.
Della condotta di quei Finanzieri il prode generale Murari Brà, da cui il Battaglione dipendeva, in un suo scritto, fra l'altro dice:
"Con i miei fanti va indissolubilmente legato il ricordo della R. Guardia di Finanza del 1. Battaglione e de' suoi mitraglieri eroici difensori leggendari del Costesin".
Sarebbe da ricordare come il 2. Battaglione nella conquista del nero e terribile Podgora, nel Luglio del 1915, spargendo generoso e copioso sangue si coprisse di gloria.
Il Generale Mambretti scriveva al Comando della Brigata Re, della quale i Finanzieri facevano parte:
"Il Battaglione della R. Guardia di Finanza, nel combattimento del giorno 19 per l'occupazione del Podgora tenne contegno per disciplina ed ardimento altamente encomiabile.
Mentre del fatto mi è gradito prendere nota, incarico V.S. di esprimere agli Ufficiali ed alle truppe di detto Battaglione tutta la mia soddisfazione, tributando a tutti largo elogio".
E del 3. Battaglione, che quasi da solo conquistava e teneva prodemente per tutta la durata della guerra senza mai arretrare le difficili posizioni avanzate di Val di Ledro.
Di esso il Generale Cangemi nel 1918 poteva ancora dire:
"Nell'accomiatarmi da voi sono fiero di accompagnare alla parola di saluto l'espressione del mio compiacimento e della mia gratitudine per l'intelligente cooperazione che ho avuto costantemente da voi.
Forti e vigili scolte di questi passi alpini, così oggi al 4. anno di guerra, come nel primo giorno, che non domi dai lunghi disagi della trincea, deste volontari ad ogni impresa nella quale si chiedesse di osare".
E del 5. Battaglione, che tra l'altro ha in suo onore la temeraria impresa della riconquista, in Val d'Astico, del minaccioso Monte Cimone, scrivendo con essa impresa, una delle più belle pagine di ardimento e di valore militare.
E del 7. Battaglione, intrepido tra gl'intrepidi, della condotta del quale potrebbe parlare con maggior ragione e competenza e con giusto orgoglio il valoroso T. Colonnello Sig. Doglio, qui presente, che nei giorni più belli ne comandava, da Capitano, una compagnia. Dalle eroiche gesta di questo Battaglione dal 15 giugno al 7 luglio 1918, fra i due Piavi, si traeva fieramente la data della festa di oggi.
Con il 7. erano in nobile gara in sacrificio, in valore, in eroismo, in quelle località ed in quei giorni, l'8. ed il 20. Battaglione, e sulla destra i marinai del bel Reggimento S. Marco, che con noi oggi festeggiano la loro festa. Un eroico esponente di questo Reggimento, il Capitano Bafile, come è noto dorme il suo eterno ed eroico sonno, in grembo alla pietosa Maiella madre.
Del 20. andrebbe anche ricordata l'azione del Pal Piccolo, nella quale il Maggiore Giovanni Macchi, elevandosi a nume, mostrava ai nemici attoniti, attaccanti in forze preponderanti, come gli italiani sapessero morire.
E non andrebbero dimenticati i Finanzieri del 10. Battaglione, di quei Finanzieri che nel luglio del 1915 furono degni emuli dei prodi fanti Abruzzesi della Brigata Acqui e dei prodi fanti della Brigata Pinerolo, nella sanguinosa conquista di Setz, di Vermigliano, di Monte Sei Busi; degni emuli dei fanti di quella brigata che al comando di un altro prode soldato, del Sig. Generale Perris, non conosceva sconfitte, e alla quale brigata carica di onori e di gloria, oggi Chieti e l'Abruzzo sono orgogliosi di dare riconoscente affettuosa ospitalità.
E non andrebbero dimenticati i Finanzieri del 16. Battaglione, cari più di tutti al prode Generale Ferrara, le glorie del quale, con quelle di altri 4 Battaglioni, vanno dal fronte italiano al fronte più temuto e movimentato dell'Albania.
Di questo Battaglione faceva parte un altro eletto figlio di questa fiera terra abruzzese, Tenente Saul Angelini. La pietà, l'ammirazione e l'affettuosa gratitudine hanno indotto i compagni d'arme a dedicare in questa caserma al suo nome la sala di convegno che oggi s'inaugura.
Questo Ufficiale il 31 Luglio 1918 giaceva al Gorian ammalato quando sapeva che il suo Battaglione era impegnato in aspro combattimento. I mali fisici a quella notizia sparivano come d'incanto e la sua anima, sempre generosa e bella, s'infiammava, divampava di quei sentimenti, di quelle risoluzioni che avvicinano l'uomo alla santità, alla divinità. Senza indugio, sereno e con entusiastico fervore, volava sulla linea del fuoco e dell'onore, incontrandovi, in difficile ma vittorioso combattimento, gloriosa morte.
Alla sua memoria era conferita la medaglia d'argento al valore militare.
Nessun rimprovero se non si fosse mosse, ma i deboli avrebbero avuto un compagno di più, il Corpo e la Patria un eroe di meno.
Onore quindi al prode, all'eroe.
E non si dovrebbero dimenticare i cinque Battaglione che dal Monte Santo, dal Vodice, dalla Bainsizza, nei tristi giorni di Caporetto, ripiegarono nel massimo ordine traportando con sé non soltanto gli zaini e le ami, ma anche dove era possibile il materiale; quei cinque Battaglioni che dopo aver presidiato le località importanti nelle quali passavano si raccoglievano a Conegliano per essere destinati parte alla difesa del Piave, parte in altro servizio preziosissimo in quei giorni.
Per tutti e più di tutti, come granitica marmorea sintesi, può valere il sicuro giudizio del Principe guerriero, dell'Augusto Comandante della 3. Armata, di S.A. Reale il Duca d'Aosta, espresso, nella nobile serena obiettività, nel concedere la medaglia d'argento al valore militare al Comandante del 7. Battaglione, per l'azione sul Sile del 21 giugno 1918. Concludeva:
"L'alta ricompensa è anche degno riconoscimento del valore dei reparti della R. Guardia di Finanza che sempre nelle gionate più aspre furono degni compagni nell'eroismo e nel sacrificio delle migliori truppe della 3. Armata."
E può valere anche il glorioso elenco dei suoi caduti, dei duemila finanzieri, che con gli eroici compagni del R. Esercito, sono rimasti a dormire il sonno dei prodi nei santi cimiteri di guerra; dei cinquemila finanzieri tornati nelle proprie case carichi di cicatrici, colle carne dilaniate; dei settecento decorati del nastro della nobiltà, del bel nastro azzurro.
Può anche valere l'Augusta visita che S.M il Re, il 3 Giugno del decorso mese si compiacque ancora di fare ai suoi Finanzieri che mai trascura e mai dimentica nella caserma della Legione. Allievi e Scuola Allievi Ufficiali in Roma, rivolgendo ancora una volta ad essi pubblicamente, per la loro opera, per l'alto spirito di sacrificio e patriottico, per le profonde virtù militari e cittadine, il Suo plauso, il Suo alto elogio.
Questo, senza la macchia, la più lieve macchia di una qualsiasi diserzione, è il superbo bilancio che rende oggi maggiormente fieri e italianamente orgogliosi quanti indossano la bella divisa del soldato dalle fiamme gialle.
Ma non è tutto. La guerra che oggi ognuno in letizia considera finita, non è invece finita per la Guardia, per i Finanzieri di ferro, come ebbe a chiamarli D'Annunzio vestendone a Fiume la divisa. Ed oggi essi continuano a combattere contro i nemici di ogni maniera una lotta, una guerra non meno aspra, non meno pericolosa. E spesso, troppo spesso, scende dalle montagne, dalle maestose Alpi bianche, avvolto nel tricolore, un prode, per essere silenziosamente accolto nei lindi, semplici, solitari camposanti di fondo valle, dove altri prodi dormono, prodi oscuri di ogni età, di ogni condizione, di ogni ragione, di ogni tempo. Testè, la vicina Tocco Casauri,a rendeva solenne onoranze ad un eroico figlio: al Finanziere diciannovenne GIUSEPPE PRESUTTO.
Dinanzi a questo prode in fazione, nella solitudine della notte, dai traditori della Patria, era posto brutalmente l'alternativa o del tradimento ricompensato con oro, o della fede pagata con la vita. Accettava con fierezza e romanamente la morte.
Questo, o Signori, è l'educazione, l'anima del Finanziere italiano. Ed è pur di ieri nell'infido confine croato l'ultimo cruento conflitto, nel quale altri prodi, con la giovane milizia italica, pagavano con l'intrepida loro giovinezza la religiosità del dovere e l'orgoglio del nome italiano.
Dopo l'immane conflitto, le Armate vittoriose e gloriose si potevano ritirare, non si ritiravano però, le ombre gloriose dei seicentomila caduti, ma non si ritiravano neppure i soldati gialli, fedeli guardiani delle Alpi. Ed oggi essi vegliano e vigilano, con quelle sacre ombre, sugli spalti della Patria, sulla sua sicurezza, sulla sua integrità economica e territoriale, come vegliavano innazi guerra, senza interruzioni, senza soste, senza tregua. E ad ogni porta, ad ogni passo, ad ogni varco con le sante ombre dei caduti, numi tutelari della Patria, v'è una sentinella; ogni scoglio, ogni torre del paterno mare, ogni cima delle maestose Alpi, come aquila, ha una guardia, una vedetta che getta lo sguardo lontano e scruta nelle tenebre. Ed essendo le Alpi davvero da noi presidiate nessuno le attraversa non visto ed impunemente.
E la guardia vi sosta immobile, ferma come il granitico sasso da cui le Alpi sono formate. Può essere travolta dalla tempesta, soffocata dalla bufera, sepolta dalla neve e dalla valanga, vinta dal numero e uccisa, ma non allontanata, non fugata dal suo posto, non distolta dalla sua consegna.
Il sacro Cippo del Brennero, quindi, a noi consegnato ed affidato, è in buona custodia!
Non vi turbi perciò preoccupazione alcuna, prodi fratelli delle cento vittoriose battaglie del R. Esercito, nel preparare, nelle vostre guarnigioni interne, le nuove eroiche forze per i nuovi destini dell'Italia, nuova Imperiale, di questa nostra bella, cara, grande Patria risorta di nuovo per opera del suo possente Duce di oggi a grandiosa vita. Se malauguratamente malintenzionati tentassero ancora di offendere il nostro sacro diritto, tentassero ancora di violare i sacri limiti, i Finanzieri di Cima Mnaderiolo, di Cima Dodici, di Porta Manazzo, del Iudrio, del Costesin, del Piave, pur nell'esiguo ed impari numero, sapranno ancora tenere a bada, sino al vostro poderoso arrivo, le orde mal consigliate. E voi, cittadini nostri, continuate sereni e tranquilli nelle cento cure, nelle cento vostre opere, a pro' vostro, a beneficio della Nazione, pensando che il Guardiano fedele delle Porte d'Italia, la sentinella avanzata delle Alpi, sa ancora e sempre morire in passione, con fierezza, eroicamente anche per la vostra tranquillità, per la vostra floridezza, come muore per il sacro adempimento del suo aspro dovere, per l'incolumità e la grandezza della sua Patria immortale, per la fede giurata al suo Re.

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