Umberto Adamoli

Articolo tratto da 'Il Solco - Foglio d'ordini della federazione dei fasci di combattimento di Teramo' del 2 luglio 1938

Le fiamme gialle nello spirito guerriero



Il 5 luglio ricorre la festa della R. Guardia di Finanza, festa nata dalle gesta compiute da suoi reparti, nelle luminose giornate del 1918, sul sacro fiume del Piave.
E' bene, quindi parlare un po' anche di questo benemerito Corpo, non ancora sufficientemente conosciuto.
Non è agevole precisarne l'origine. Nella storia di ogni tempo, nella or lieta, or dolorosa storia di questa magnifica Italia nostra, si trovano accenni ad armati somiglianti nei fini e nello spirito agli odierni soldati dalle fiamme gialle. Monsignor Beccaria, cappellano di Corte, li fa discendere dai veliti, quindi dalle truppe leggere romane d'avanguardia; altri dai pubblicani ossia dal Corpo dei cavalieri ricordati da Cicerone come uomini amplissimi, onestissimi ornatissimi; altri ancora dai marchesati, destinati di guardia al confine delle provincie della Roma imperiale.
Certo l'origine è antica, come sono antiche le frontiere, antichi i limiti dei territori entro cui ogni popolo, in tranquilla sicurezza, svolge la propria attività, compie il proprio ciclo, compone, nelle alterne vicende, il grande umano poema.
Ma venendo in tempi a noi vicini, ai documenti sicuri, sappiamo che nella smembrata Italia nostra, il primo Corpo di Finanzieri ed ordinamento militare sorgesse in Piemonte nel 1775, sotto Vittorio Amedeo III, con la Legione Reale leggera, che ebbe a dare, in ogni vicenda magnifiche prove di fedeltà, di spirito militare, di valore.
Il regno italico, prendendo a modello il famoso Corpo dei Cacciatori Verdi, caro sovra a tutti gli altri a Napoleone, istituiva anch'esso il suo Corpo di frontiera dalla gloria del quale si può sicuramente far discendere la Guardia di confine della nuova Italia.
Dalla divisa verde di allora trova spiegazione e ragione il colletto verde nell'attuale divisa.
Nel 1861, nella patria risorta, si presentavano all'adunata con sette divise, è vero, ma con una sola grande italiana anima e con forti aspirazioni.
Nel servaggio avevano sempre disimpegnato il loro dovere con onesto zelo; ma quando si trattava di operare per la patria, non esitavano un momento a passare nelle schiere che ne propugnavano la libertà, l'unità, la grandezza. Ed ebbero a figurare in tutti i cimenti nazionali, riscuotendo ovunque plauso, ammirazione, gratitudine.
L'illustre patriota Cabrio Casato, ad esempio, nel suo proclama del primo aprile del 1848, nel governo provvisorio di Milano, dopo le gloriose cinque giornate, di essi diceva:
"Nel giorno del pericolo non avete indugiato di ricordarvi di essere italiani, e non solo rispettaste i vincoli fraterni ma da prodi combatteste per la santa causa. La patria vi è riconoscente e si compiace di rendervene pubblica testimonianza".
Dopo la dolorosa capitolazione, il prode Luciano Manara, che ne aveva ammirato il valore nella stessa Milano, a Brescia, sul Monte Suello e nel Trentino, sceglieva a formare il nucleo maggiore del suo nuovo battaglione i sette ufficiali ed i quattrocentocinquanta finanzieri superstiti lombardi; quel battaglione, che dopo aver pagato nuovo tributo di sangue sugli sfortunati campi di Novara, accorreva a sostenere Roma, nella riconquistata libertà.
E quei finanzieri di Luciano Manara erano fratelli di quei finanzieri che stettero con il vecchio prode generale Zucchi alla difesa di Palmanova; che bagnarono del loro sangue gli spalti di Udine e di Vicenza; che come guide esperte e come indomiti combattenti furono al fianco di Pier Fortunato Calvi nell'impresa del Cadore, fulgido episodio delle armi e del valore italiano, eternato dall'inspirato canto del primo poeta della patria risorta.
A Roma i Lombardi trovavano già impegnati nella lotta, nella forza pure di un battaglione, al comando del famoso maggiore Zambianchi, i finanzieri pontifici.
Garibaldi che ne aveva grande stima, se ne valeva per le imprese più ardite. Finanzieri quasi tutti, quantunque confusi per ragioni di aggregazione ed anche di divisa, con i bersaglieri lombardi e con i bersaglieri del Tebro, erano i forti di Villa Corsini e del Vascello, erano i prodi che a Villa Spada, il 30 giugno 1849, con il loro sangue scrivevano l'ultimo meraviglioso canto della memorabile impresa.
Dopo le epiche giornate romane seguivano il biondo condottiero nella difficile ritirata. Formavano l'ultima pattuglia di quella taciturna marcia leggendaria dieci finanzieri a cavallo.
Questi, adunque, erano i finanzieri dalle sette divise ma da un sol cuore saldo italianissimo, che si presentavano a formare il nuovo Corpo della patria redenta. E non ebbero mai a smentire, con quelle civili, le alte loro virtù militari. E non vi fu guerra, nella quale essi non partecipassero valorosamente, come dalla consacrazione fattane da S.M. il Re, nel consegnare ad essi, il 7 giugno 1914, la Bandiera di combattimento:
"Alla R. Guardia di finanza, che nelle lotte per l'indipendenza nazionale e nella recente guerra libica diede tante prove di valore e di patriottismo, consegno questa Bandiera con la fiducia che saprà, in ogni occasione, gelosamente custodirla e mostrarsi degna dell'altissimo onore che le viene oggi conferito".
E nella grande guerra, nella quale partecipava con ben diciotto battaglioni, la R. Guardia di finanza illuminava di nuova vivida luce le sue tradizioni militari. Anzi come designazione del destino, toccava proprio ad essa l'alto onore di accendere sul ponte di Brazzano sul Judrio la gigantesca battaglia, sparando il primo colpo contro i nemici che, avanti la mezzanotte tentavano di compiere di sorpresa i primi atti di guerra.
Il marmo inalzato su quel posto ne avverte i passanti, e tramanda ai venturi l'importante storico fatto. In esso si dice:
"Vedette insonni del confine - Le più avanzate e le più sole - sempre - perché questo è il comando - il giuramento - il premio".
Ed oggi sul gambo di quella Bandiera consegnata con tanta serena fiducia da S.M. il Re, vi sono incisioni che rammentano nomi di località che si inalzano sulla patria, come santuario di luce e di venerazione.
Ma le gesta compiute nella grande guerra dai soldati dalle fiamme gialle si possono dedurre, oltre che dai superbi giudizi di tutti i grandi condottieri, anche dall'elenco glorioso dei duemila caduti, dei cinquemila feriti e mutilati, dei mille decorati, e dalle tre ricompense al valore che ornano la loro bandiera.
Dopo Vittorio Veneto le Armate gloriose si ritiravano. Non si ritiravano le insonni vedette, i fedelissimi guardiani delle porte d'Italia. Rimanevano con le tombe dei settecentomila eroi, per continuare a vigilare, senza interruzione, sulla sicurezza, sull'integrità economica e territoriale della Patria. Ed oggi ancora, come ieri, come sempre, su ogni scoglio, su ogni torre del paterno mare, su ogni cima ed in ogni varco delle patrie Alpi, qualunque la stagione, il tempo e l'ora sta come aquila, con lo sguardo aguzzo vicino e lontano, una guardia, una vedetta. Può essere travolta dalla tempesta, soffocata dalla bufera, sepolta dalla valanga, vinta ed uccisa dalla forza del numero, ma fin che ha vita non piegata non distolta dalla sua consegna.
E sono oggi come ieri, come sempre, fedelissimi preziosi militi del regime: militi d'oro in pace, militi di ferro in guerra. Ed anche il DUCE ne ebbe ad esaltare le benemerenze dicendo ad essi tra l'altro:
"Conosco la vostra storia del Risorgimento, della guerra libica e della guerra mondiale rintessunta di eroismi memorabili che non si possono dimenticare..".
E riaccompagnarono testé, per acquistarvi nuova gloria, le gloriose Armate, lanciate dal DUCE alla conquista dell'impero. E bagnano ancora lietamente ed abbondantemente di vivo sangue la via del loro dovere, teso ora con novello vigore pel trionfo dell'idea del Fascismo e dei destini della grande patria.
Quindi, nella ricorrenza della loro Festa vogliamo anche noi il pensiero affettuoso e riconoscente a questi forti e sani, benemeriti soldati dalle fiamme gialle, e diciamo anche non con il nostro grande poeta-eroe, esaltatore di ogni virtù:
"...se la vostra opera è non dico misconosciuta, ma troppo poco conosciuta, non per questo è meno nobile, meno apprezzabile, meno gloriosa, e meno ispirata a nobilissime tradizioni che io son fiero di esaltare"...
Umberto Adamoli

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