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Un volo di 55.000 chilometri

Francesco De Pinedo
A. Mondadori Milano, 1927, pagine 287

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Un volo di 55.000 chilometri
   ' 197
   intimi era una scrupolosa armonia con lo stile, la cui pesantezza contrastava stranamente con gli allegri e vivaci colori dei « kimono » delle molte « musmè » addette al servizio.
   Era già stato stabilito a Tokio un programma completo di cerimonie ufficiali della durata di una settimana, ed in cui era militarmente previsto l'impiego che io dovevo fare delle mie giornate, dalle prime ore del mattino fino alle ore più tarde della notte. Non parlo degli innumerevoli banchetti e ricevimenti offertici e delle visite che dovetti fare. Conservo però di essi un grato ricordo, perchè dappertutto ebbi modo di apprezzare la cordialità e la simpatia con cui venivo accolto. Un grande numero di doni ci vennero dovunque presentati, secondo l'uso giapponese.
   Ebbi lunghe ed interessanti conversazioni col Ministro della Marina, clje aveva messo a mia disposizione un capitano di fregata, e trovai veramente ammirevole il lavoro di organizzazione della Marina e i progressi raggiunti nella costruzione e nell'impiego dei velivoli. Il Ministro, che in passato per lungo periodo era stato già eletto a tale carica, mi fece l'impressione di un uomo di vedute larghe e moderne, e notai anche che era molto stimato ed apprezzato dai suoi ufficiali.
   Feci visita al Ministro della Guerra, e molto cavallerescamente con una coppa di champagne fu cancellato senz'altro il ricordo dell'incidente di Tam-Sui.
   Furono per me una novità i vari banchetti di puro stile giapponese, cui presi parte, imbanditi nei migliori ristoranti. Occorreva naturalmente lasciare le scarpe alla porta; ogni commensale aveva davanti a sè un piccolo tavolinetto alto non più di dieci centimetri dal suolo, e si stava accoccolati per terra sopra un piccolo cuscino, a gambe incrociate. Confesso che non potevo abituarmi ad una siffatta posizione, perchè dopo un certo tempo le ginocchia s'indolenzivano e mi era necessario stendere le gambe di qua o di là, assumendo così una posa forse poco conveniente.
   Non parlo dei cibi ai quali non mi era possibile fare onore, essendo troppo diversi da quelli cui è assuefatto il nostro palato. Mi dissero, in proposito, che la cucina cinesfe, che io non ho avuto occasione di gustare, è anche più raffinata e più ricca della