Un volo di 55.000 chilometri
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fermato dalle autorità giapponesi, avendo rispettato nella mia rotta le convenzioni internazionali, che danno il diritto alle navi di entrare persino in porti fortificati o proibiti qualora siano a ciò costrette dalle avverse condizioni atmosferiche. Il mio caso che non arrivava a tali estremi era quindi fuori discussione.
La posizione era piuttosto imbarazzante sia per me che per le autorità locali, le quali, dolentissime di quanto era accaduto, erano in verità di una grandissima cortesia e desiderose di trovare una soluzione che mi permettesse di partire senza ulteriori ritardi. Per dimostrarmi la loro lealtà, fecero perfino lavorare di domenica ed in ore di riposo, perchè io non subissi un maggióre ritardo nella partenza.
La domenica sera, poco prima di mezzanotte, giunsero alla casa del Console Inglese, il capitano di fregata, che comandava le forze navali di Formosa, e il Comandante delle forze terrestri. Mi accorsi subito dal loro aspetto ilare che l'incidente era stato risolto, e infatti essi mi comunicarono che il Governo di Tokio non faceva più alcuna difficoltà in merito alla mia partenza e che l'incidente sarebbe stato appianato al mio arrivo nella capitale.
I giornali intanto avevano ingrandita la questione ed avevano . stampato che ero passato sulla zona proibita, decorando tutto di un gran lusso di titoli e di caratteri.
Seppi che alcuni aviatori russi erano arrivati nel Giappone da qualche giorno, attraversando in volo tutta la Siberia, e che avevano avuto la disgrazia di planare, a causa di un'avaria al motore, nell'interno di una zona fortificata. Àgli aviatori era stato quindi impedito di proseguire il volo, e gli apparecchi erano stati smontati compitamente e inviati in treno a Tokio.
La mattina del 21 partii per Shanghai.
Intervennero per salutarmi tutte le autorità e i bambini delle scuole. Il Comandante delle forze navali mi domandò se avrei tagliato il Canale di Formosa nel punto dove era più stretto; risposi che mettevo in rotta direttamente per Shanghai. Egli ebbe l'estrema bontà di tener pronto di sua iniziativa un cacciatorpediniere, in caso avessi avuta la disgrazia di planare in pieno mare.