XIII
DALLE FILIPPINE AL GIAPPONE
Il tempo era chiaro. Qualche nuvola qua e là e una leggera brezza da Sud.
— Il diavolo non è poi tanto brutto come si dipinge — pensai.
Diressi al Nord, passai a destra dell'Isola di Fuga e a sinistra di Babuyan. Alle 8 ero sull'Isola di Batan. Il mare aveva qui degli Strani sconvolgimenti, che denotavano forti contrasti di corrente analoghi a quelli che si vedono passando lo stretto di Messina. Qui però si notavano dall'alto fenomeni molto più accentuati e sembrava che l'acqua ribollisse come in una colossale pentola.
Il tempo si era abbuiato. Il vento era girato a Nord. Nubi violacee, grevi di acqua, si addensavano sulle isole. Il mare aveva un'apparente tranquillità come di un empio che mediti o riposi sopra un qualche misfatto.
Deviai dalla rotta passando in vista di Porto Basco nell'Isola di Batan, per contentare il desiderio di quei ragazzi che mi avevano telegrafato. Le antenne radiotelegrafiche di Porto Basco erano lambite dalle nuvole e tutta l'isola aveva l'apparenza triste e lontana di una terra perduta e confinata lungi dal consorzio civile, sotto la perenne minaccia dei tifoni e sotto la persistente monotonia delle pioggie costanti, senza respiro, senza riposo.
Non so il perchè, ma tutto quel panorama aveva un aspetto malinconico, lugubre, quasi l'aria fosse pervasa dalle anime dei naufraghi inghiottiti laggiù dai flutti.