Stai consultando: 'Un volo di 55.000 chilometri ', Francesco De Pinedo

   

Pagina (169/300)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (169/300)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Un volo di 55.000 chilometri

Francesco De Pinedo
A. Mondadori Milano, 1927, pagine 287

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   tiri volo di 55.000 chilometri
   165
   da violentissimi « remous ». Dopo, il vento girò a ponente, e poiché la nostra rotta era per maestro, ciò ritardava molto il nostro cammino : mi avvidi da alcune osservazioni che non facevamo più di 100 chilometri all'ora. In qualche zona la velocità era ancora più scarsa, e calcolai che la forza del vento variava tra i sessanta e gli ottanta chilometri all'ora. Come seppi di poi all'arrivo, un tifone imperversava a Nord-Est di Manilla.
   Oltre al vento assai forte incontrammo molti piovaschi qua e là e ovunque grossi ammassi di nubi. Mi avvidi ben presto che, con la benzina disponibile, non avrei potuto giungere a Manilla. La mia rotta era tracciata costeggiando ad Ovest l'Isola di Luzon. Feci il conto che la benzina mi sarebbe stata sufficiente per giungere circa a cento chilometri dalla mèta, e poiché non vi erano ridossi sulla costa Ovest di Luzon, sarei stato obbligato a scendere in pieno mare, provocando la perdita sicura dell'apparecchio.
   Il mare sotto di noi era bianco di spuma, e seppi poi che i piroscafi partiti in quel giorno non avevano potuto proseguire ed erano andati a ridosso per attendere il passaggio del fortunale.
   Per salvare la situazione, non vi era da fare altro che portarsi sulla costa Est di Luzon, riparata dal mare e dal vento, e di planare, accostandosi il più possibile al Nord, nella prima insenatura ove fosse qualche villaggio che per avventura avesse comunicazioni stradali o ferroviarie con Manilla. In tal modo avrei potuto ricevere, in poco tempo, la benzina necessaria per finire questa tappa disgraziata.
   Avvistai tra le nubi l'Isola di Sibuyan, un immenso cono dirupato che si eleva dal mare fino a 2500 metri di altezza, e ricordo che nelle sue vicinanze ebbi un lavoro assai faticoso per rimanere padrone dell'apparecchio tra i forti contrasti del vento.
   Alle 10.55 ero al traverso della Punta Arena nell'Isola di Luzon e potevo considerarmi in salvo, perchè la rotta proseguiva ora lungo una costa ridossata.
   Traversai due o tre abbondanti piovaschi, ma oramai avevo sotto di me il mare calmo; mi sentivo quindi sicuro e tranquillo. Alle 12 sboccai nella Lamon Bay. Mancavano circa 154 chilometri per Manilla. Cumuli enormi di nuvole, da cui scendeva sul mare