j Un volo di 55.000 chilometri
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scozzese con la sua forza straordinaria mi fu di grandissimo aiuto, ed io penso che da solo non avrei potuto cavarmela.
Fortunatamente la tempesta durò solo quaranta minuti. Appena fu passata, decisi di cambiare nuovamente ancoraggio e di prendere un posto ancora più ridossato, ormeggiando l'apparecchio a una boa che gentilmente lo scozzese, dirigente dei lavori portuali, si offerse di farmi sistemare. La boa fu così messa a posto, con rapidità che mi stupì; l'apparecchio fu preso a rimorchio e, dopo una difficile manovra, durante la quale poco mancò che non andasse a sfasciarsi contro terra, esso aveva finalmente una base sicura.
Erano le 4 del pomeriggio: potevo alla fine respirare tranquillo.
Con minore intensità vento e pioggia durarono tutto il giorno, ma oramai non c'era- più nulla da temere. Mi procurai quindi alcuni maniglioni e « redance », con cui rimisi in ordine la nostra attrezzatura per l'ormeggio, alquanto rovinata dalle varie traversie subite. Campanelli tappò i buchi sotto le ali con alcune strisce di tela.
Il tempo era sempre minaccioso, e perciò decisi quella sera di dormire a bordo del motoscafo, presso l'apparecchio, per essere più pronto a fronteggiare eventuali cattive sorprese durante la notte.
Lo scozzese nel pomeriggio ci lasciò per andare a giocare a foot-ball. Ferguhar Tait, così si chiamava, era una meravigliosa fibra di uomo non solamente per la sua forza fisica, ma anche per il suo cuore generoso, ed a lui serberò sempre viva riconoscenza per il prezioso aiuto datomi nel salvare l'apparecchio. Si prese grande cura di noi; ci inviò viveri, mise a nostra disposizione boa ed imbarcazioni, fece insomma tutto quanto era umanamente possibile per aiutare non degli amici, ma dei fratelli.
Il 21 maggio, alle 7.30, salutato dal buon Ferguhar, misi in moto, decollai; e subito mi trovai tra la pioggia. Andai avanti un pezzo, ma l'acqua aumentò talmente di intensità, che credetti opportuno di arrestarmi. Erano le 9.30 quando ammarai presso l'estuario di un canale, in una isola disabitata: l'Isola di Campbell.