j Un volo di 55.000 chilometri
69
Mi domandò se le consigliavo di continuare il viaggio per l'Australia o per l'Africa.
— Io andrei in America — le risposi.
Giù, nel ristorante dell'albergo, trovai due inglesi suoi spasimanti, che mi proposero un'« entente » anglo-franco-italiana. Ma la signora fu irremovibile, non volle intervenire e restò chiusa nella sua camera.
Così l'« entente » andò in fumo.
Neppure il giorno seguente riuscii a partire, perchè, pur essendo il motore pronto verso mezzogiorno, le fasi dei cilindri non erano perfette. Campanelli si affrettò a rimediare, ma oramai si era fatto troppo tardi. Si scatenò inoltre una violenta burrasca : ci affrettammo a riportare l'apparecchio nell'«hangar» e corremmo anche noi al riparo. Ciò causò una grande delusione tra i giornalisti del posto, che però ci dissero filosoficamente di essere abituati alle false partenze dei vari miei predecessori di voli intercontinentali.
Forse era l'aria di Rangoon...
Chiesi scusa per l'infruttuoso disturbo che avevo loro involontariamente procurato, e me ne rientrai all'albergo.
Il 18 maggio si potè finalmente partire; ma era bassa marea quando mettemmo in mare l'apparecchio, e temevo per lo scivolo di legno, che nella sua ultima parte, esposta all'acqua, era alquanto marcito.
Ad un tratto infatti, per il peso dell'apparecchio, lo scivolo si sfonda e, come se ciò non bastasse, si rompe anche il carrello che sostiene l'apparecchio. Così tutta la manovra rimane sospesa con grande disappunto dei giornalisti, che speravano questa volta di vedermi partire sul serio.
Si dovette dunque riparare il carrello e lo scivolo, e ciò richiese ben tre ore di lavoro, alla fine delle quali si potè mettere l'apparecchio in acqua senza altri inconvenienti. Decollo abbastanza facilmente, sfiorando le numerose barche che incrociano nello specchio d'acqua, - con manifesta emozione dei loro equipaggi-