XXV. T. POJJPOMO ATTICO. SS
tlinò ohe a lui s! recassero tutti i regali che aveva in Atene ricevuti. Essendosi Pomponio ivi trattenuto peF molti anni, tanta cura ponendo negl'interessi domestici, quanta dovrebbe un padre di famiglia non trascurato, e tutto il rimanente del tempo dando alle lettere, od agli affari pubblici degli Ateniesi, ciò nulla ostante fe' de' servigi agli amici nelle cose civiche. Imperciocché solea di quando in quando trovarsi ai loro comizii, ed ogni qual volta si trattò cosa di conseguenza, non vi mancò mai: siccome a Cicerone diede prove in tuttii pericoli di lui di fedelissima amicizia, al quale fuggitivo della patria donò dugento cinquantamila sesterzii. Acquietatesi poi le cose in Roma, vi ritornò nel consolato, cred io di Lucio Cotta e di L. Torquato. Il giorno della sua partenza tutta quanta la città d'Atene lo accompagnò di maniera, che dai pianti ben argomentar si poteva il rammarico che di tal perdita avrebber sentito in avvenire.
V. Avea uno zio materno, Q. Cecilio, cavalier romano, intimo amico di L. Luculio, uomo ricco, ma di naturale difficilissimo. Pomponio rispettò in tal guisa la costui durezza, che non v'essendo persona che il potesse soffrire, egli ne conservò la benevolenza sino all'ultima vecchiezza, senza che mai seguisse la menoma rottura. Questo gli meritò godere il frutto del suo riverente amore Imperciocché Cecilio venuto a morte, lo adottò nel testamento e lo istituì erede di tre quarti del suo asse patrimoniale. Della quale eredità gli toccò circa dieci milioni di sesterzii. Avea una sorella maritata con Q. Tullio Cicerone, con cui Pomponio, dappoich'erano stati condiscepoli , vivea in amicizia strettissima, ed anche con maggior confidenza che con Quinto; di maniera che si può giudicare, che nell'amicizia ha più di forza la conformità de' costumi che l'affinità. Usava intrinsecamente con Q. Ortensio, il più eloquente oratore di que' tempi; cosi che non si potea distinguere chi più lo amasse, Cicerone od Ortensio, e ciò che era difficilissimo, egli faceva in modo che fra questi due, tra' quali v'era l'emulazione d' una si alta gloria, non vi fosse mai disgusto veruno, ed egli tra uomini di tanto merito serviva di legame.
VI. Nelle cose della repubblica diportavasi in modo che era sempre (e tale era il suo credito) dalla parte dei buoni, senza però commettersi a'flutti civili, perciocché egli riputava non essere di sé medesimi padroni coloro che a questi si danno in preda , più che lo siano coloro che da' marini vengono agitati. Non chiese magistrati, potendovi pretendere e per le aderenze , e pel proprio merito: perchè nè si potevan dimandare secondo il costume degli antenati, nè ottenere salve le leggi, m tempo di si larghe profusioni degli ambiziosi, nè amministrarsi