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Vite degli Eccellenti Comandanti

Cornelio Nipote
Casa Editrice Sonzogno Milano, 1927, pagine 104

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   XV. EPAMINONDA.
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   parsa in Isparta, ove fu legato prima della battaglia leut-triea. Essendovi ivi raunati i legati di tutti i confederati, in pienissima assemblea delie ambascerie, si fattamente se la prese egli contro la tirannia degli Spartani, che non meno abbattè la loro potenza con quel ragionamento, di quel che facesse poi nella battaglia di Leuttra. Imperciocché ottenne allora ciò che si manifestò dappoi, che gli Spartani restassero privi dell'ajuto degli alleati.
   VII. Ch'egli fosse paziente e tollerante delle ingiurie de' suoi cittadini, perciocché diceva, non esser lecito adirarsi contro la patria, queste ne sono le prove. Non avendo i suoi cittadini per astio voluto dargli il comando dell'esercito, ed avendovi posto alla testa 1111 capitano imperito, per colpa del quale era a tale stato ridotta quella grande armata, che tutti temevano della loro salvezza, perchè chiusi in luoghi stretti erano assediati da' nemici : cominciò a desiderarsi l'attenzione d'Epaminonda, il quale era ivi nel numero de' soldati come privato. Al quale avendo essi chiesto ajuto, ei non volle punto ricordarsi del ricevuto torto; e liberato l'esercito dall'assedio, a Tebe il ricondusse sano e salvo. Nè ciò fece una volta sola, ma più e più volte. Ma più d'ogni altro illustre fu quel fatto, quando condusse l'esercito nel Peloponneso contro gli Spartani, ed ebbe due colleghi, l'uno de' quali era Pelopida, uom prode e valoroso. Qui per le accuse degli avversarii essendo tutti caduti nell'odio del popolo, e perciò essendo loro tolto il comando, e posti in loro vece altri pretori, Epaminonda non ubbidì all'ordinazione del popolo, e indusse i colleghi a far lo stesso, e fece la guerra, che aveva intrapresa. Imperciocche s'accorgeva, che se avesse ubbidito, tutta l'armata per l'imperizia dei pretori e poca perizia delia guerra, sarebbe andata in rovina. V'era una legge in Tebe,. che condannava a morte chiunque avesse ritenuto il comando più lungo tempo di quello che fosse dalla legge prescritto. Vedendo Epaminonda, questa essere stata fatta alfine di conservar la repubblica, non se ne volle servire in danno della città: e si ritenne il governo quattro mesi di più di quel che il popolo aveva ordinato.
   Vili. Ritornati a casa i colleghi di lui, venivano accusati di questo delitto. A' quali egli permise che ue addossassero tutta la colpa a lui solo, e sostenessero che per opera di lirt era succeduto che non ubbidissero alla legge. Per la qual discolpa liberati essi dal pericolo, niuno si dava a credere che Epaminonda dovesse rispondere, come colui che nulla avesse che dire. Ma egli conparve in giudizio; niuna di quelle cose negò, che gli a?-versarii gì' imputavano, e confessò tutte quelle che avea.» dette i coflcjrhi- nè ricusò di esser sottoposto alla peu*