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— AH ! — mormorò Athos baciandole la mano, — se l'avessi saputo prima che Maria Michon fosse una così deliziosa creatura!... E si ritirò sospirando.
XXIII.
L'Abate Scarron.
Nella contrada Tournelles vi era una casa conosciuta da tutti i portantini e da tutti gli staffieri di Parigi, eppure quella casa non era quella di un gran signore, nè quella d'un finanziere. Non vi mangiavano, non vi giocavano, nè tenevano feste da ballo. Era però il convegno del bel mondo e vi andava tutta Parigi.
Quella casa era quella del giovine Scarron.
Vi si rideva tanto presso quello spiritoso abate, vi si spacciavano tante novelle, che erano sì presto commentate, sminuzzate e trasformate, sia in racconti, sia in epigrammi, che ognuno voleva andar a passare un'ora col giovine Scarron, udire ciò che diceva e portare attorno ciò che aveva detto.
Molti erano smaniosi di mettervi il loro motto; e se questo riusciva lepido', essi erano pure i benvenuti.
Il giovane abate Scarron, il quale d'altronde non era abate che perchè possedeva un'abbazia e non perchè fosse negli ordini, era stato in passato uno dei più galanti prebendati della città di Mans, che abitava. Ora, un giorno di carnevale, avendo voluto rallegrare oltre misura quella buona città di cui era l'anima, si era fatto ungere di miele dal suo servo, indi coperto un letto di piume, vi si rotolò entro, di modo che sembrava il più grottesco volatile che mai si potesse vedere. In quello strano costume era andato a far visita ai suoi amici ed alle sue amiche.
Si era incominciato a seguirlo sbalorditi, indi con baiate, poi i facchini l'avevano insultato, i ragazzi gli avevano gettate delle pietre, finalmente era stato costretto a prendere la fuga per salvarsi dai projettili. Dal momento in cui era fuggito, tutti l'avevano inseguito, incalzato, attorniato, ributtato da tutti i lati; Scarron non aveva trovato altro mezzo per scampare a chi lo inseguiva che quello di gettarsi