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— Ali ! — esclamò il principe ; — e di che sarà composta ? Udiamo, mio caro maggiordomo.
_ Monsignore ha promesso di rimettersi interamente
a me.
__Vi sarà il pasticcio?
— Lo credo bene ! e grosso come una torre.
¦— Fatto dal successore di papà Martello?
— L'ho comandato.
— E gli dicesti che era per me?
— Gliel'ho detto.
— Ed ha risposto?...
— Che farà il meglio che potrà per accontentare Vostra Altezza.
— Alla buon'ora! — esclamò il duca, strofinandosi le mani.
— Diavolo, monsignore, — disse La Ramée, — come abboccate alla -ghiottoneria ! in cinque anni non vi ho mai veduto così allegro come in questo momento.
Il duca s'accorse di non esser stato bastantemente padrone di sè stesso; ma in quel punto, Grimaud, come se fosse stato in ascolto alla porta ed avesse compreso che era urgente una distrazione alle idee di La Ramée, entrò e fece segno a La Ramée di aver qualcosa a dirgli.
La Ramée si avvicinò a Grimaud, che gli parlò sottovoce. Il duca, frattanto, si era rimesso.
— Ho già proibito a quest'uomo, — diss'egli, — di presentarsi qui senza mio permesso.
— Monsignore, — disse La Ramée, — bisogna perdonargli, poiché sono io cheJ'ho mandato.
— E perchè l'avete mandato, quando sapete che non mi garba ?
— Monsignore si rammenterà ciò che è stato convenuto, —disse La Ramée, — e che egli devo servire quella famosa cena.
— No, ma avevo dimenticato Grimaud.
— Monsignore sa bene che non vi può esser cena senza di lui.
— Via, via ! fate come volete.
— Avvicinatevi, mio giovine, — disse La Ramée, — ed ascoltate bene ciò che sto per dirvi.
Grimaud si avvicinò col volto rabbuiato. La Ramée continuò :
- Monsignore mi fa l'onore d'invitarmi domani a cena con lui.