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Il duca gli tese la mano; Grimaud s'avvicinò e gliela baciò rispettosamente. Le maniere dignitose di Athos avevano allenato Grimaud.
— Ed ora, — domandò il duca, — che dobbiamo fare?
— Sono le undici del mattino, — riprese Grimaud. — Monsignore alle dieci, dovrebbe domandare di fare una partita alla palla con La Ramée, e manderà due o tre palle sopra lo spalto.
— Ebbene, dopo?
— Dopo... monsignore s'avvicinerà alla muraglia e griderà ad un uomo che lavora nel fossato di rimandargliele.
— Comprendo, — disse il duca.
Il viso di Grimaud parve esprimere un viva soddisfazione: il poco uso che faceva della parola gli rendeva la conversazione difficile.
Fece un movimento per ritirarsi.
— Ah, capperi ! — disse il duca, — tu non vuoi proprio accettar nulla?
— Vorrei che monsignore mi facesse una promessa
— E quale? parla.
— Cioè che quando noi ci salveremo, io passerò in qualunque luogo, perchè possa nascondermi; perchè se riacciuffano monsignore, il più grande rischio che ella corra è di essere rimesso in prigione, mentre se ripigliano me, la minor cosa che mi possa accadere è di essere impiccato.
— È troppo giusto, — disse il duca, — e parola da gentiluomo, sarà fatto come tu chiedi.
— Ora non ho che una cosa da domandare a monsignore : ed è che continui a farmi l'onore di detestarmi come faceva prima.
— Mi proverò, — disse il duca.
Picchiarono alla porta. Il duca si pose in saccoccia il biglietto e la borsa, e si gettò sul letto. Si sapeva che era l'unica sua risorsa nei suoi momenti di grande noia. Grimaud andò ad aprire; era La Ramée che ritornava dalla casa del cardinale, ov'era succeduta la scena che abbiamo narrato.
La Ramée volse uno sguardo investigatore intorno a sé, e vedendo sempre gli stessi sintomi d'antipatia tra il prigioniero ed il suo custode, sorrise colmo di interna soddisfazione.
Indi volgendosi a Grimaud, gli disse:
— Bene, amico mio, bene. Si è parlato di voi in un luogo