106 CAP0 inquella fama ehe altri si acquistò colla versione e colla servile imitazione dei
poemi di quelle nazioni. . W . .
Ho cercato nei Principii delle belle lettere applicati alle arti, che il farmi dettò come professore di eloquenza nel ginnasio di Brera, il segreto di quella sua arte finissima che lo rese dopo Dante il più vero ed efficace de' nostri poeti. Ho trovato un compendio nè esatto, ne elegante delle vecchie fettoriche, se non fosse una certa larghezza d' intendimenti che abbraccia non solo le arti della parola, ma del disegno. Pone come principii fondamentali l'imitazione, l'unità, la vaneta; e come generali la proporzione, l'ordine, la chiarezza, la facilità e la convenevolezza- e come particolari alle belle lettere la parola, la lingua e lo stile, donde passa a dire della nostra lingua e degli scrittori che maggiormente si segnalarono m
essa Coi precetti contenuti in questo trattato intendo benissimo corno potesse comporre i versi, che col nome di Ripano gMlino pubblicava in Lugano nel 1752 e che poi maturo d'anni e di studi riprovava ; ma non intendo donde traesse quella novità di pensiero e di forma che risplendono in ogni verso delle Odi e de. Giorno. Conviene ricorrere a più alti principii per iscoprire la fonte d. tali meraviglie ; a quei principii che qualche anno dopo Ugo Foscolo dhulgava fra i giovani della Università di Pavia, e che confessava di avere attinti dalle labbra dello stesso Parini quando la prima volta lo vide in Milano. Al nome del Panni, egli dice, la memoria 9 riconduce ai miei anni fuggiti, che pur non sono mai tutti ne fuqqiti nè perduti quando serbiamo come tesoro una utile c sa di quelle che abbiamo imparato a quel tempo. La prima volta che io vidi il Panni, e a me allora, come dice Antiloco presso Omero,
allora a me la Parca Il decimo ed ottavo anno filava,
intesi da quel poeta già vecchio recitare un'Ode ch'egli avea composto di fresco ed è la bellissima forse tra tutte le altre sue, e v'erano m essa queste due strofe :
A me disse il mio Genio, Allor ch'io nacqui : l'oro Non fia che te solleciti, Nè l'inane decoro Di titoli, nè il perfido ^ Desio di superare altri in poter;
Ma di natura i liberi
Sensi ed affetti, e il grato
Della beltà spettacolo
Te renderan beato ;
Te di vagare indocile
Per lungo di speranze arduo sentier.
E mentr'io sfavami intento all'artificio mirabile di questi versi e alla novità sopra tutto dell'ultimo verso, ed ardiva lodarli: « o giovinetto, mi d^se v ima di lodare l'ingegno del poeta, bada ad imitar sempre l animo suo in ciò lie ti deJa virtuosi e Uberi sensi, ed a fuggirlo ov'eiti conduca al vizio ed Ma serviti. Lo stile di questa mia poesia è frutto dello studio del arte mia 1 la della sentenza che racchiude devo confessarmi grato all' amore soL co, M ZMatigTLdi, perchè amandoli fortemente e drizzandovi tutte le Utenze dell anima, ho potuti se ¦barmi illibato ed indipendente in mezzo ai vizn ed a la tirannide dei mortali ». Ed un'altra volta richiedendolo io in che insistesse la indipendenza dello crittore, risposai: « a me par d'essere liberissimo, perei,