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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   capo in. 93
   riai. Il Cesarotti, qualunque sia la materia che tratta, non sa temperarsi da quel suo verseggiare sonante e frondoso, che a breve andare stanca l'orecchio c la mente. La sua Pronea, la più bassa adulazione che vedessero i servili tempi del primo Napoleone, segnò l'ultimo stadio della sua carriera poetica; nò fu mai visto miscuglio pui strano di dottrine metafisiche e teologiche esposte in versi più vanamente pomposi. F
   Le novità letterarie promosse dal Cesarotti trovarono fieri oppositori in tutta la Penisola: si gridò alla profanazione ed al sacrilegio ; alcuni giunsero sino a negare ogni lume d ingegno e di dottrina al professore padovano. Questi sfogava le sue ire m certi apologhi, Momo giornalista, il Pidocchio e l'uomo, il Sole e il L lieoro, Etculapio e il verme, che dimostrano quanto altamente sentisse di sè e quanto addentro lo pungesse ogni piccola contraddizione. Le accuse che gli si darmi», erano principalmente per le sue libere opinioni, o, come si diceva; pel suo lassismo m tatto di lingua, per cui non badava di usare vocaboli e modi di dire stranieri quando gli fossero venuti in taglio. Il Cesarotti per costringere al silenzio gli avversala compose il suo Saggio sulla filosofia delle lingue, il quale non è cnc la difesa dei principii, co'quali si era fino allora governato nello scrivere Alter ma che ogni lingua in origine non è nè elegante, ne barbara nò pienamente superiore ad un altra; che niuna lingua è pura, ma nata dall'accozzamento di varii ìaumi e pero non formata sopra un preconcetto disegno, ma sorta per istinto P !, . e I1011 espresso consenso della nazione. Seguita da ciò che niuna au-l; a,d inuividuo o di corpo scientifico può limitare la libertà della nazione in patto ai lingua, che non essendo mai perfetta nè copiosa abbastanza, ha bisogno continuamente di nuove ricchezze, ed è per qdesto soggetta ad alterazioni e da parte del popolo e da parte degli scrittori. Parlando dei dialetti ne' quali si divide una lingua, il ( esarotti giudica ingiusto e dannoso il predominio di un dialetto su i altri; e tratto dall'esempio della Grecia, vorrebbe che di tutti i dialetti d'I-taiia si tornasse una lingua comune, secondo le speranze che Quintino Sella espresse Mocni anni sono al Manzoni. Questa opera condotta secondo le dottrine di Locke Vii* r0n.dlllHC bellissime considerazioni sulla dipendenza che hanno le lingue da a logica e dalla, rettorica, e sulle leggi che ricevono dall'esempio, dall'uso, dalia ragione e dall analogia; ma quando discende ad applicare questi principii alla lingua italiana il Cesarotti concede una tale licenza agli scrittori che non saieooe più lingua italiana, ma quasi una lingua franca di Europa. Un abate Non), vicentino, insorse primo a mostrare falsa l'asserzione che ogni lingua'in bugine non fosse ne elegante nè barbara; con maggiore autorità scese poi in campo il conte Galeani Napione, che nel suo bel libro Dell'uso e dei pregi della lingua italiana, ed in una lettera al Bettinelli con nobilissima critica sostenne 1 onore della nostra letteratura.
   Il Cesarotti rispose al solo Napione fra il cortese c l'ironico ; ma la quistione pi osto si spense nel rumore dei mutamenti politici sopravvenuti in Italia. È curioso a notarsi quel che si ricava dall'epistolario del Cesarotti, cioè che l'Accademia delia Crusca facesse buon viso al libro del padovano riformatore, il quale proponeva che in luogo del frullone si istituisse un consiglio composto del fiore dei letterati d Italia che vagliano a depurare ed accrescere V erario della linqua e a\ mantenerla m uno slato di giudiziosa libertà e di sana e florida virilità. M lesta pieghevolezza e docilità della Crusca è uno de' più strani miracoli che lo • -rito di liberta e di fratellanza producesse allora in Italia. Ma dopo poco tempo gli accordi si ruppero; e la questione fu trasmessa intatta ai nipoti.
   Poche miglia fuori di Padova v' ha Selvazzano, ove il Cesarotti aveva una s ia piccola villa Con quanto amore l'avesse abbellita di piante pellegrine, di lapidi di crine c di statue che ricordavano i suoi amici, e i suoi mecenati Napoleone ed i principe Eugenio, si vede dalle sue lettere. Ora il giardino ed il boschetto di iUeronte (il Cesarotti godeva chiamarsi con questo suo nome arcadico) sono