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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO UNDECIMO.
   contro le spedizioni civili, di stancare il nemico col eambiare spesso il sito e la direzione delle operazioni. Ove la guerra sia di soccorso, non tu onnnetta di raccogliere insieme le forze, di far diversioni, di somministrare denaro e munizioni e d'esigere, siccome caparra, il possesso di qualche fortezza. I desideri ehe si lasciano dagli « Aforismi », sono tutti di forma: vi inanca cioè quella nitidezza e quella parsimonia di dettato, clic si cerca indarno negli scritti anche più corretti del secolo. Del resto ha ragione il Grassi, quando dice che il Montecuccoli « per la franchezza dello stile ed il nervo della frase, e per la brevità de' concetti non ha » fra gli italiani, u nò forse altrove,. scrittore tattico che lo pareggi ».
   Di felici illustratori non ebbe difetto 1' arte musicale. Ingegno meraviglioso ebbe Giambattista Doni, morto a soli cinquantatrò anni nel 1647. In giovinezza rivolse l'animo e sempre con raro profitto a più maniere di studi. Discipline predilette furono a lui l'eloquenza, la poesia, la lingua ebraica, la francese, le classiche, l'antiquaria, la storia, le matematiche, la fisica, la storia naturale e la giurisprudenza. Ad approfondirvisi, provetto negli anni, si valse della sua dimora in Roma al servizio di Urbano Vili, delle indagini nelle biblioteche e ne' musei, e della conversazione con gli uomini più dotti d'Italia e stranieri. I biografi ricordano di lui un numero straordinario di opere, parte concepite, parte sbozzate, e parte condotte quasi a compimento, intorno a materie varie e diverse. Ma quelli che gli procacciarono maggior nominanza, furono gli scritti sulla musica. Nessuno avvertì forse, quanto il Doni, che i contemporanei, assoggettando le vocali della poesia a infiniti trilli e gorgheggi, toglievano all'arte la virtù di esprimere gli affetti. A rimediarvi si propose di richiamare la musica alle norme de' Greci. Era ciò, presso a poco, che aveano tentato inutilmente i cinquecentisti. Con tutto ciò pose l'ingegno a dimostrare la verità del dogma d'Aristotele, il quale avea detto che « nelle melodie ritmiche esistono similitudini, esprimenti la verace natura dell'ira, della mansuetudine, della fortezza, della temperanza, de'loro contrarie d'ogni altra cosa, appartenente a' costumi ». Si sforzò cioè di dichiarare in ehe stessero veramente i toni, ne' quali i Greci avevano riposta 1' essenza della musica; vale a dire l'eolio, il frigio, il lidio, 1' ionio, il dorico, esprimenti alla loro volta la mitezza degli affetti, il furore dell'ira, i sensi della malinconia, l'eccesso dell'allegria, la tranquillità dello spirito. I progressi successivi della musica dimostrarono che le fatiche del Doni non avevano raggiunto la meta agognata; nò l'eco delle lodi, onde gli fu largo tra' molti il Martini, si ripercosse gran fatto nell'età successive. Le sue teoriche, ancorché corroborate dalla più vasta dottrina, non seppero reggere gran fatto alla pratica. All'opere musicali di lui, pregitloll per la nitidezza e la bontà del dettato, fu riserbata la sorte istcssa deH'anticordo, o lira barberina, ehe negletta fin da principio dagli artisti, cadde, si può dire, con la morte dell'inventore. Sui vizi della musica del secolo XVII ha scritto Benedetto Marcello, il famoso autore de' Salmi, nato in Venezia nel 1686 e morto in Brescia a cinquantatrè anni. Ma il suo « Teatro alla moda » non- è un'opera seri? E invece una satira, dove co' vizi de' poeti melodrammatici, degli scenografi, de' pi tori, de' costumi e de' suggeritori sono sferzati i maestri di musica, i direttori d'orchestra, i suonatori, i cantanti. Pure a ehi sotto le forme ironiche sa leggere il vero, non è difficile a rilevare con la storia della musica del tempo anche le norme opportune a rimediarne gli eccessi.
   Assai maggiore è il numero degli scrittori ehe dettarono precetti intorid all'arte dello scrivere. Al secolo XVII appartengono anzi tutto le fatiche dell'Accademia della Crusca intorno alla lingua nazionale. Le ^ quattro prime edizioni del Vocabolario sono dovute particolarmente al Soldani, al Redi, al Doni, al Buonarroti, al Dati, al Rucellai, al Salvini, al Minucci, al Biscioli, agli Ave-I rani e a parecchi altri di que' valentuomini che sostennero in Italia l'onor delle lettere. De' non pochi, i quali seppero rendersi benemeriti degli studi della lingua e dell'arte dello scrivere, va primo per ordine di tempo Celso Cittadini di Siena.