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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo nono
   L'ELOQUENZA.
   Alessandro Tassoni — Emanuele Orchi — Paolo Segneri — Francesco Maria Cassini — Sebastiano Paoli — Quirico Rossi — Girolamo Tornieli.i.
   Il cinquecento, che pur seppe dare stupendi capolavori in più rami dell' arte letteraria, non ha lasciato, si può dire, nessun buon esempio di vera eloquenza né profana, nò saera. Della mala prova nella politica s'accagiona generalmente il difetto di libertà e di vita nazionale negli Italiani. Fissato questo principio, che non sembra applicabile del tutto al secolo XVI, dove con una certa libertà di parola non mancarono le grandi commuzioni, capaci di suscitare le più gagliarde passioni, va da se che non si possa esigere nulla di buono dall' età della preponderanza spagnuola. Se v'ha qualche lodevole esempio di eloquenza politica, è forza ripeterlo dagli auspizì de'principi, che, anche foggiatisi in molte cose agli usi c a'eostumi d'oltremonte, seppero serbare alta ed intera la dignità nazionale. Le sale del palazzo ducale di Venezia echeggiarono più volte di discorsi quanto elevati di pensiero, altrettanto mirabili per franchezza di parola. Non durerebbe molta fatica chi dagli archivi dell'austera Repubblica volesse trarne de'no-bil esempi, non però tali da potersi proporre a modello, perchè dettati in dialetto. Degno d'essere ricordato è il u Panegirico » del Tassoni in lode, o dirò meglio, in difesa del Duca di Savoia contro gli attacchi virulenti. del Sozzino di Genova, un di que'vili che, adulando allo straniero, insultava empiamente alle vergogne della patria. E più degne ancor di menzione sono le « Filippiche », pur del Tassoni in biasimo specialmente degli Spagnuoli. La parola vi spira sempre coraggiosa e infuocata; nobili e generosi vi si manifestano del pari gli intendimenti. Quello che non si può veramente approvare, è l'eccesso della invettiva. Il Tassoni sì lascia trascinare alcune volte ad ingiurie esagerate. In qualche luogo chiama gli Spagnuoli u imbarbariti da costumi african e moreschi, intisichiti nell'ozio lungo d'Italia e nella febre etica di Fiandra ». Altrove li qualifica u soldati, che avvezz a pascersi di pane cotto al sole, e di cipolle e radici, e a dormire al sereno con le scarpe di corda e la montiera da pecoraio, vengono a fare il duca nelle città » d'Italia « e a metter paura, non perchè siano bravi, ma perchè non avendo mai provato gli agì della vita, non curano di perderla a stento; forti solo, mentre stanno rinchiusi nelle fortezze, invitti contro i pidocchi, pusillanimi contro il ferro ». Ed esce certo dai confini del vero , quando incolpa delle miserie d'Italia non la disunione e la discordia, ma la v>ltà de'popoli oppressi.
   Nè prova gran fatto migliore si dette nella eloquenza forense. Non che l'età abbia difettato di avvocati, molto addentro nella giurisprudenza e famosi per le difese di celebri cause. I Tribunali di Venezia, la Vicaria di Napoli, la Sacra Rota di Roma suonarono non di rado di arringhe, che suscitarono la univcrsal maraviglia. Ma le molte, che or ci rimangono a stampa, vanno ben lontane dal