102 capitolo quinto.
traduce, si può dire, il testo stesso; c bello fra gli altri c il canto ebe s'alterna nel u Sisara » tra Debora c Barue:
Deb. Voi, che morte disfidante, Date a Dio gloria ed onor.
Chi risiede in regal trono, Di mie voci ascolti il suono: Lodo e canto il mio /Signor.
Bar. Israel la via smarrendo Cadde in jallo e in servitù.
Non fu in uovi zelo e vigore. Sol di Dèbora il gran core Di salvarlo ebbe virtù.
Deb. A me no', gloria al gran Dio, Che s'armò per Israel.
Ei colà s'ammiri e canti, Dove sono i carri infranti E peri l'oste infedel.
Bar. Contro a' rei s'armar le stelle, Anche il ciel per noi pugnò.
Il lor sangue i campi innonda; E il Cison con rapid'onda I cadaveri ingoiò.
Deb. Nella fuga a' lor destrieri Cadder l'ugne e mancò il pie.
Maledetto chi, temendo, Sfuggì il rischio e combattendo Front'aita a noi non die.
Bar. Benedetto in fra le donne Sia il tuo nome, o pia Giàèl.
Desti latte al sitibondo; E sopore alto e profondo Chiuse i lumi a quel crudel.
Deb. Con la manca il ferro strinse E alla fronte lo adattò.
Alzò l'altra il gran martello: E le tempie ed il cervello Dell'iniquo trapassò.
Intendimento supremo del Zeno fu di eoneiliare l'opera musicale eon le norme della vera drammatica, o u comporre, eome avverte l'Emiliani, un melodramma, che stesse in pace eon la logiea dell'arte ». Non altra è a un di presso la lode che gli dà il Metastasio. u Quando al Zeno, scriv'cgli, maneasse ogni altro pregio poetico, quello d'aver mostrato con felice suceesso che il nostro melodramma e la ragione non sono enti incompatibili, come con tolleranza, anzi eon applausi del pubblico, parea che erodessero quo' poeti eh' egli trovò in possesso del teatro quando ineomineiò a scrivere; quello, dieo, di non esser riputato esente dalle leggi del verosimile, quello d'essersi difeso dalla eontagione del pazzo e turgido stile allor dominante, e quello finalmente d'aver liberato il coturno dalla eomica scurrilità del soceo, eon la quale era in quel tempo miseramente confuso, sono meriti ben sufficienti per esigere la nostra gratitudine e la stima della posterità ».
Gaspare Gozzi si felicitava ehe il Zeno avesse saputo mescolare per primo ne'suoi melodrammi l'utile al dolce. E veramente, considerato nello generali, non si può negare che il giudizio del eritieo veneziano non desse nel segno. Dove