IL MELODRAMMA.
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la capo a fondo dell' azione, senza che vi s'ingeneri noia o stanchezza. L'imita-sione del Bonarelli si rivela piuttosto in ciò che si riferisce alla forma. V'ha quel asso esagerato d'immagini, quell'esuberanza fiorita di stile, che si nota da'eritici 10I Pftitor Fido del puf ri ni : lusso ed esuberanza tanto più pesanti e stucchevoli, itanR è minore 1' artifizio di compensarne 1' eccesso con altrettanta vivacità degli ìffefti c delle passioni.
La declamazione non fu la sola maniera elie si usasse nella recita de'primi Inalimi pastorali. Una lunga discussione degli eruditi intorno alla vera rappresentazione delle tragedie antiche, e le vecchie memorie relative a una specie di lauto teatrale, che ehiamavasi mclopea, trasse ad accompagnarne la parola, se non lelfiltero, almeno in alcune parti, eoi canto. Non altrimenti Giovanni Bardi de'Coii-i del Vernio, presso cui raceoglievasi il fior de'virtuosi fiorentini, faceva rappresen-;ire in sua casa il combattimento d' Apollo eoi Serpente per festeggiarvi nel 1589 e nozze di Ferdinando de'Mcdici eon Cristina di Lorena. Maggiore ancora fu b spettacolo d'una pastorale, forse i u Due Pellegrini » di Luigi Tansillo, fatto rapprr-5(f,{tre eon magnifico apparato da don Garzia di Toledo, viceré di Napoli. L'A-minta stesso fu recato sulle scene eon intermezzi lavorati a bella posta dal Malo t fi. Ma il canto non correva in si fatte rappresentazioni spiccio e naturale, com'era % desiderare. Multe volte alle parole non corrispondevano le note, e la musica usciva \ un non so chc d'inordinato, di scomposto, di strano. La prima idea di aeco-uodare la musica alla parola scaturì in Firenze, e propriamente nelle case di quel Òonte del Vernio, elie avea fatto rappresentare l'Apollo. Ma la maturazione ne è dovuta, si può dire, per intero a Jacopo Corsi pur di Firenze, chc, tramutatosi il Vernio dall'Arno sul Tevere, aveva raccolto in sua casa Giulio Caecini, Jacopo Peri e Claudio Monteverde, i tre più riputati compositori di musiea, che allora vivessero. Al desiderio del Corsi prestò volentieri l'opera sua Ottavio llinuecini, elegantissimo poeta, nativo, come i tre, di Firenze; e eou la u Dafne » musicata dal' Caceini e dal Peri, inaugurò in Italia quella maniera di componimento che, in onta alle lunghe e accanite questioni degli eruditi, fu detto e si chiama tuttavia melodramma.
La u Dafne » come lavoro poetico non è una gran cosa. Tocca appena ì quattrocento quaranta versi, per la maggior parte di breve struttura.^ L'azione sa-\ re eon un coro di pastori e di ninfe, che invitano Apollo ad uccidere il serpente Pitone. Apollo, tolta la vita al mostro, s'incontra in Amore, che, offeso dalla parola del Nume, se ne vendica innamorandolo di Dafne. Costei, invitata a corrisponder «-li in amore, fugge ritrosa per le selve, ed è trasformata in alloro. Il Coro, informato da un nunzio del fatto e del dolore da eui fa preso l'innamorato, chiude l'azione magnificando la potenza d'Amore. L'argomento è tratto, come si vede, dall i Metamorfosi d'Ovidio; e il poeta introduce anzi Ovidio, perchè ne reeiti il prologo.
Alla u Dafne », musicata dal Caceini e dal Peri, e rappresentata in Firenze nel 1595, tenne dietro 1' a Furidiee », recitata cinque anni dopo nell'occasione delle nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia. L 'argomento ò lo stesso dell' « Orfeo » del Poliziano. Dove si manifesta una differenza sostanziale, ò nell'esito finale. Il prologo è fatto dalla Tragedia. Il Coro, come nella Dafne, in-eomineia l'azione invitando le ninfe e i pastori a festeggiare le ^nozze d' Euridice, che si ritrae eon le compagne in un boschetto. Orfeo non s'è ancora consunto alla comitiva che 1' attende, quando gli si fa incontro una ninfa e gli annunzia ch'Euridice, morsa da un serpente,
Che celato gìacea tra l'erbe e i fiori,
era spirata eoi nome dello sposo sulle labbra. A confortare le ninfe, ritiratesi sbi-¦ottit'ì e piangenti dal luogo funesto, arriva poco appresso un pastore, il quale racconta che Orfeo, accorso al boschetto e tramortito dal dolore, era stato sollc-
Moksolin,