1ÒI> CAPITOLO QUINTO.
timento compassionevole della regina gli suscitano entro il petto un tumulto d'affetti, (pianto violenti, altrettanto contrari gli uni agli altri. A reprimer!' non vale la santità stessa del luogo. Cieco dall'ira corre furioso tra'sacerdoti, che stanno per immolare le vittime, strappa loro di mano la scure, s'avventa contro Polifonte c contro Adrasto, e gli stende morti entrambi sul pavimento. Stretto dalle guardie, chc impugnano le spade, sorge a difenderlo Merope istessa, chc addita in lui il figlio del monarca tradito, l'erede del trono, il rampollo degli Eraclidi. Il popolo, commosso all'annunzio inaspettato, accorre a circondarlo, lo accompagna in folla alla reggia, lo rimette sul trono, lo acclama plaudente e contento.
L'idea fondamentale, ehe informa la u Merope », non sono, come ben si vede, nè gli amori, nè gli avvenimenti romanzeschi, de'quali avevano fatto sfoggio, più o meno largo, i tragici del secolo XVII. u Trattasi, scrive il Bozzelli, d'un principe, che fin dalla sua fanciullezza, trafugato da pietosa cura in estranee regioni perchè venga sottratto alla strage, in cui la sua famiglia fu barbaramete involta, vi è tenuto incognito nella più profonda oscurità di stato; e che divenuto adulto, trovasi esposto per concorso cieco d'impreveduti accidenti a tanti pericoli di morte; sino a che, per impeto d'indomabile coraggio, aiutato da circostanze propizie, si gitta in un espediente, ehe il fa trionfare di tutte le contrarie vicissitudini. E la occulta influenza di quel destino, che, percotcndo un individuo presso alla culla gli fa percorrere tutta la scala dell'infortunio per poi rimenarlo gradatamente al colmo della sua primitiva grandezza. L'assalto d'un vagabondo, l'odio d'un tiranno, l'avidità di un satellite, la tenerezza d'una madre, sono tutti strumenti atti a ben intessere una tela, in mezzo alla quale quella sovrana idea si sviluppa, s'ingrandisce, e prorompendone alfine per subita esplosione, si mostra pura e splendidissima ad involger le menti degli spettatori nella più straordinaria meraviglia ».
L'entusiasmo, destato fin da principio dalla «Merope», fu unico piuttosto che raro. Le città principali d'Italia gareggiarono, per oltre mezzo secolo, nel rappresentarla con la maggior magnificenza possibile. A piaggiare il gusto corrotto del secolo fu ora trasformata in prosa alla foggia de'drammi del Cicognini, ed ora intarsiata di amori, di rime in fondo alle scene, d'intermezzi e di cori. 11 grido non tardò a diffondersi per il rimanente d'Europa. « Inglesi, scrive l'Emiliani, Tedeschi, Spagnuoli, Russi e perfino i Francesi, eccessivamente boriosi del loro teatro, la vollero tradotta nelle loro lingue; gli uomini celebrati da ogni angolo del mondo dotto scrissero lettere al Maffei, e ehi lo chiamava Sofocle, ehi lo paragonava ad Euri! f- pide, chi lo poneva di sopra a tutti i tragici poeti antichi e moderni: la u Merope » insomma destò un rumore universale, che durando per più di mezzo secolo era inevitabile che creasse una scuola e desse un vigoroso impulso alla tragedia, il nome della quale era quasi bandito dalle italiche scene ». Pope la traduceva in inglese. Voltaire dava mano a una versione in prosa francese, cui sospendeva per le difficoltà di rendere adequatamente le forme italiane. In pochi anni le tragedie, foggiate sulla u Merope », si moltiplicarono sino al numero d'oltre sessanta, senza che si arrivasse da nessuno alla perfezion del modello.
Nè di ciò era eausa la novità del concetto. Gli storici delle lettere antiche ricordavano, eome se detto, il u Cresfonte » di Euripide, tessuto, a quanto sembra, sopra una favola d'Igino; dove la sostanza del fatto è pressoché uguale. Le modificazioni del Maffei si riferiscono, più.chc altro, agli accessori. Ma il lavoro fu tale da rivelarsi in un ordine di combinazioni nuove almeno in apparenza. E una tela quella della uMerope», che fu ammirata grandemente dagli uomini più competenti nella materia, quali 1 Gravina, il Voltaire ed il Lessing. Non che la tragedia sfuggisse per intero alle osservazioni de'eritici: ma queste erano o frutto dell'invidia, come quelle del Voltaire e del Martelli, o si circoscrivevano a passaggi di elocuzione, o a .ìnmagin: staccate, come alcune del Lessing. Più ragionevoli sono le osservazioni del Sismond: che vi trova talvolta poca verosimiglianza e troppo intreccio d'avventure e di accidenti fortuiti. Del resto il Maffei vuol commendarsi largamente per aver saputo