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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   1ÒI> CAPITOLO QUINTO.
   L'apologia non valse però a farlo accettare dagli scrittori di tragedie. Usato alcuna volta dal Goldoni trova appena chi sene giova tra gli scrittori di commedie e diciamo anche de'moderni Proverbi. Il Martelli s'atteggiò a riformatore della tragedia sulle orme de'Francesi senza chc l'arte progredisse per lui d'un unico passo, p il suo nome meglio che per i meriti letterari va ricordato per la novità del verso, che in forza della polemica del tempo fu detto e si dice tuttavia martellicino. ' Il primo a svincolarsi dalle pastoie, comuni a'tragici del seicento, fu Scipione Malici, nato e morto a ottantanni in Verona nel 1755. Benemerito della drammatica per la pubblicazione del Teatro Italiano, preceduto da un dotto discorso, aecrebbe i suoi diritti alla riconoscenza delle lettere italiane con la u Merope ». Il soggetto non era nuovo. Trattato da Euripide, il cui lavoro si smarrì da tempo immemorabile, avea porto materia alle tragedie del Calaverino, del Liviera e del Torcili, vissuti nel secolo XVI. Il alatici, anziché perdersi d'animo davanti alle prove altrui, seppe infondervi nuova vita e tale da improntare d'un'orina di vero progresso il teatro tragico d'Italia. Polifonte, ucciso con due figliuoli Cresfoutc, re di Messene e usurpatone il trono, chiede alla vedova Merope la mano di sposa. Ad attuare il disegno tenta prima di tutto il cuore materno, vantandosi d'aver risparmiato per sentimento di clemenza Cresfonte, il terzo de'figli, ch'ella, sottratto alla sorte degli altri due, aveva affidato sotto il pseudonimo d'Egisto alle cure del fedel Poli doro. Sdegnoso delle ripetute ripulse, non ha, si può dire, intimato alla donna di cedere al proprio volere, clic Adrasto gli si fa innanzi con un reo d'omicidio arrestato^ allora allora sul ponte del Pamiso. Il colpevole è il giovinetto Egisloj gentile d'aspetto e di modi, che, interrogato, dichiara d'aver ucciso per difesa di vita e gettato nel fiume un ribaldo, che a lui, povero figlio di padre servo, voleva impedire di muovere dall'Elide a Sparta. Adrasto, sorpresolo sul ponte, s'era affrettato a torgli di dito una gemma preziosa, traendo da essa un pretesto d'accusarlo qual ladro. Era la gemma, che Merope nell'atto di trafugarlo dalla reggia avea consegnato Polidoro, perchè ne adornasse il figliuolo, quando avesse toccato l'adolescenza. Tradotto davanti al re, Egisto racconta con tanta ingenuità l'avvenuto da cattivarsi l'universale commiserazione, e particolarmente di Merope, cui una certa rassomiglianza con le sembianze del morto marito trasse a pregare non si precipitasse il giudizio senza una piena conoscenza del fatto. È dovuto anzi all'atto misericordioso della regina, se Polifonte circoscrisse a una ben vigilata custodia la prigionia del giovinetto, e se questo commosso sino al fondo del cuore della pietà di quella donna si diede a invocarle sul capo tutte le benedizioni del cielo.
   La costernazione, suscitata nel cuore di Merope alla vista del giovinetto c si può dire, appena cominciata, quando giunge un messo ad annunziarle in seo-reto eh Egisto era scomparso dall'Elide, gettando la desolazione nell'animo di Polidoro. Prostrata dalla funesta notizia, non è parola che valga a mitigarne il dolore. La fantasia le corre rapida d'imagine in imagine, l'una più trista dell'altra. L'idea che il figlio siasi messo in via per desiderio di veder cose nuove, turbasi in lei dal pensiero de'pericoli, dal dubbio di un agguato tesogli dal tiranno, dal timore eh Egisto sia l'ucciso sul ponte e gettato nell'onde del Pamiso. A i)«-lidrU da quest'ultima angoscia non basta neppure la sollecitudine d'Eurisio, intimo e leal confidente, ehe interrogatone Adrasto, le riporta la gemma trovata indosso ali uccisore, il quale l'aveva strappata alla sua volta dal dito dell'ucciso, un prepotente vestito assai riccamente. La gemma, riconosciuta, getta nell'animo dell'in-telice regina la più grande delle disperazioni; sicché la reggia s'empie a un tratto di gemiti, di pianti e di grida. Polifonte, avvisato dell'accaduto, non può non manifestar la sua interna compiacenza. Franco, com'egli si crede, dal rivale che gli potea contendere il trono, macchina le più aspre angherie contro il popolo oppresso, e concede, quasi premio, ad Egisto di vagar libero e senza custodia. In Merope^ inveee la commiserazione tramutasi d'un tratto in odio. Sitibonda di vendetta s'aggira, accompagnata da Eurisio e da Ismene sua ancella, per o_,ni angolo