LA TRAGEDIA.
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d'Antonio Caraccio, che u non è, secondo lui, dispregevole tragedia ». L' » Ulisse » di Domenico Lazzarini, 1 arcade poeta lodato dal Carrcr per qualche pregevole sonetto, parve così atroce a'eontemporanei da meritarsi una parodia di Zaccaria Valaresso nel « Rutzvansead il giovane, areisopra tragicissima tragedia ». In tutte queste e nelle tragedie del Marchese di Napoli e del Bianchi di Lueca il merito principale consiste nella regolarità della condotta, ita a questa non risponde in nessun modo la bontà dell'insieme. Al naturale svolgimento della favola noceiono spesso ora eerti personaggi di convenzione, introdotti a comodo dell'autore, e ora certe scene e descrizioni, ehe non fanno progredire d'un passo l'azione. In alcune campeggiano spesso seeneggiamenti complicati, intralciamenti inverosimili, caratteri impropri!, concetti ora puerili e ora giganteschi, squarei di filosofia e di politica, chc sono un vero fuor d'opera. Il dialogo è per lo più freddo e stucchevole per la prolissità de'raeconti: i versi spesso languidi, scoloriti, pedestri ed insulsi, intarsiati di forme ammanierate e leziose: la moralità de'cori triviale, e fuor di proposito. L'insieme lascia desiderio, a dir breve, di quel contrasto, ehe risulta dall'urto delle passioni e sopra tutto di quella dote, indispensabile a' eomponi-menti drammatici, che è di ammaestrar dilettando. Del resto nulla di nuovo, nulla di originale ne' tragici del seieento. Nessuno de' componenti esce del campo della imitazione. Alcuni ricalcano le orme degli spagnuoli e de'francesi, i più imitano gli esemplari del cinquecento. E meglio, che il Trissino e il Rueellai, nelle cui tragedie si dipinge la sventura, sono presi a modello lo Speroni, il Giraldi ed il Tasso, da'quali s'era sostituito alla sventura il delitto e tramutata la seena in macello.
Questi difetti, per i quali passarono inavvertiti i più fra i tragici del seicento, non tolsero una certa rinomanza a Pier Jacopo Martelli, nato in Bologna nel 1066. Alle molte occupazioni nelle eose di stato, per le quali ebbe a sostenere parecchie legazioni a Roma, in Francia e nella Spagna, accompagnò lo studio delle lettere, professate da lui nell'Università della sua patria fino all'anno 1727, ultimo di sua vita. Cultore della poesia trattò argomenti di natura varia e molteplice. V'hanno di lui tre poemi, sette satire e parecchie rime. Il u Femia » un componimento satiricamente bizzarro eontro il Maffei, s'ebbe le lodi di quel giudiee austero di versi, che fu il Parini. Dove esercitò maggiormente l'ingegno fu nella drammatica. I due volumi, ne'quali raccolse e pubblicò, a cinquantanni, il suo teatro, contengono ben ventisei tra drammi e tragedie. Della dottrina del Martelli, che non fu poca, nè ¦tgilral danno testimonianza i diseorsi inframmezzati, e i proemi premessi a eiaseuno li que'eomponimenti. Delle tragedie, uscite anteriormente in Italia, assume spesso .iffieio di critico. Abbastanza feliee nel rilevarne i pregi e i difetti, parecchi de'quali avvertiti aneo da'eritici precedenti, non sa mostrarsi giudizioso altrettanto in eiò, ehe si riferisce al buon gusto. Basti dire, ch'egli pone tra' modelli più degni i eomponimenti drammatici del palermitano Scamacca, ehe non gareggiano neppur la lontano co ' più corretti del seeolo XVII. Le migliori delle sue tragedie sono u l'Ifigenia in Tauride, 1' Alceste, il Cicerone, il Proelo, il Quinto Fabio 3 la Perselide ». La conoscenza e l'ammirazione del teatro degli antichi e degli italiani non bastarono a salvarlo dalla imitazione degli stranieri. Le sue tragedie, non escluse le migliori, son ricalcate interamente sugli esemplari franeesi. Voglioso di far progredire il teatro pensò anche alla foggia d'un verso, che si eonfaeesse meglio d'ogni altro alla natura dei componimento tragieo. Le difficoltà incontrate in sulle primi furono tali, eom' egli confessa, da seoraggirlo. La seoperta del verso, eor-rispondente all'alessandrino, che eomunque usato da Ciullo d'Alcamo fin dal seeolo XII non poteva non sembrare un vero plagio del verso francese, si dovette per intero alle prove costanti nell'opera u santa ». Alle critiche de'dotti il Martelli rispondeva che quel verso a assai còmodo per la lunghezza ad esprimere miseramente qualunque più difficile sentimento » era a italianissimo ». u E eomposto, scriveva, di due versi; prendete le eesoie, tagliatelo in mezzo e ne avrete due ettasillabì, versi di eui fece uso specialmente lo Speroni nella sua famosa a Canace ».