$6 CAI'itolo quinto.
impugna, non fosse altro, il fatto, clic il Salvini, nato poco dopo la morte del I'uonarrot , non poteva non averne raccolti specialmente nella Crusca, di cu, fu membro, g'i intendimenti e i pensieri dagli amici stessi del defunto. Dirò piuttosto, che il d' segno di scrivere per ammassare in uno il maggior numero di proverbi, di modi e di vezzi popolari del parlar fiorentino, non poteva non nuoccre all'insieme del lavoro drammatico. E facile ad avvisare, chc nella u Tancia » c più segnatamente nella u Fiera » non ò sempre la parola, che serve al concetto, ma questo talvolta si accomoda a quello tanto da perdere del suo primitivo vigore. Oltre di clic il bisogno d'introdurre a parlare genti d'ogni qualità, d'ogni mestiere, d'ogni professione per aver modo di mettere loro in bocca vocaboli d'ogni arte c d'ogni scienza, fa si chc ne scapiti anche la spontanea naturalezza di certi dialoghi e di certe scene. Dove il Buonarroti sa farsi parte da se stesso, ò nel serbarsi puro, quanto alla dizione, da' difetti del tempo. Nessuna di quelle forme contorte, esagerate e ampollose, delle quali il brav'uomo sembra compiacersi talvolta nelle prose e particolarmente nelle cicalate e nelle lezioni accademiche, fa mai capolino nella « Fiera » e nella « Tancia ». Tutto vi corre invece schietto, naturale, spontaneo e condito, come bene avverte il Fanfani, di « molti ammaestramenti civili c famigliari da farne ricco tesoro anche chi più si tien savio ».
Più note da principio, che non la u Tancia » e la u Fiera », furono la C stanza, la Forca, la Fonte, la Somiglianza, la Carlotta, la Giustina e le Gemelle, sette commedie di Nicolò Amenta di Napoli, morto a sessantanni nel 1719. Le resero famose le frequenti e ripetute rappresentazioni sui teatri d'Italia e le versioni in alcune delle lingue moderne. Ma la critica posteriore le ha giudicate inferiori di molto agli elogi primitivi. Le sette commedie hanno un carattere comune, che, se non negli accessori, le fa somiglianti per lo men nell'insieme, u Un intrigo d'amore, scrive il Settembrini, che si sbroglia in due o tre paia di nozze; un intrigo senza contrasto interno, un intrigo, che si svolge e ravvolge per avvenimenti che non nascono necessariamente dall'azione, ma ehe la fantasia li crea e li sovrappone e gli intreccia con gli altri, c potrebbe moltiplicarli nell'infinito; questo ò la sua commedia. La quale vi presenta fanciulle rubate da' corsari c poi scoperte di gentili famiglie; fanciulle amate da vecchi e da giovani, che poi si scoprono padri c fratelli. Non ci è vecchio, non ci è giovane senza il suo servo, nè fanciulla nè cortigiana senza la sua serva ». Avviene da ciò, che l'azione si avviluppi anche quando dovrebbe correre più naturale e spedita, non senza manifestar nell'autore una compiacenza talvolta anche irragionevole dell'imbroglio comico. Rende ancor più avvertita la somiglianza delle sette commedie un personaggio goffo, quanto millantatore, altrettanto vigliacco, che l'Amenta introduce da per tutto, e a cui fa parlare il dialetto napoletano.
Ma uniforme e monotona nell'insieme 1' azione non manca del pregio d'una certa naturalezza nel resto. L'Amenta non si sbizzarrisce, come i più dc'suoi contemporanei, in quel fantastico da romanzieri. Vissuto, quando l'arte si piaceva delle ampolle, sa contenersi dalle forme gonfie e contorte del seicento. Le sue immagini sono corrette; corretta la dizione e la lingua. Nell'uso di questa appare anzi più che non si convenga lo studio delle forme toscane. Vi si scorge qualche cosa, che non corre naturale, ma eh'c presa, se così si può dire, ad imprestito: vi si sente l'incertezza, l'affettazione, l'impaccio; vi si desidera, in una pai'ola, quell'atticismo, che rende eosì saporiti i modi popolari e plebei della ciana c del bécero.
Ingegno veramente comico fu Girolamo Gigli, nato in Siena nell'ottobre del 1660. La splendidezza del vivere, per la quale diede fondo a una pingue sostanza, non tolse a lui di coltivare gli studi. A Siena, che lo ebbe professore di bello lettere da prima nel Collegio Tolomei e poscia nella Università, nella Toscana e in Roma, ove finì di vivere nel gennaio del 1722, seppe farsi ammirare per una serie di scritti, quanto vari, altrettanto copiosi di lepidezze e talvolta di sali acri c pungenti. Sancse battagliò contro i Fiorentini per la gloria della lingua, rinno-