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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   LA SATIRA.
   (39
   di Luciano si può dire la satira, ov'ò flagellata sotto torme metaforiche la torta politica de' Medici, intesi a distrarre con la dispensa de' titoli onorifici i Fiorentini dal commercio e dal viver civile; e plagio, secondo il Settembrini, del Funus d'Erasmo di Rotterdam è la satira nona u contro l'avarizia de' preti, ehe non daimo sepoltura a chi non lascia denari ». Ma i modelli, ch'egli predilige sono Persio e Giovenale. Su Giovenale, chc mette in burla il consiglio, raecolto da Domiziano per determinare la smisurata grandezza d'un rombo, è foggiata la satira, in cui si descrive il congresso de' barbassori toscani per trattare della scelta d'un aio a un principe de' Medici; su Persio c su Giovenale la satira de' voti. Quel del Menzini si può dire un impasto del fare de' due più violenti satirici latini. Vi traspira la bile alta e dolorosa di Giovenale, contemperata alla cupa e fremente di Persio. Dove il toscano si dà a divedere molto manchevole, ò, come avverte il Giusti, in quel non so ehe di drammatico, chc rende ammirati i modelli. La sua satira è, in generale, monotona e fatta inoltre raen bella dalle velate e talvolta aperte allusioni, chc la traggono a fulminar di frequente non i vi?', come s' è detto, ma gl'individui.
   Dalle satire del Menzini traspare, come da quelle del Soldani, uno studio veramente appassionato della Divina Commedia. Il poeta non si contenta di toglier dall'Alighieri le forme nobili ed efficaci; talvolta pare, che si diletti per sin delle rime u aspre e chioccie ». Ma l'arte dell'innestarle non è quale nel Soldani, ehe nelle sue satire non sa rivelarsi, quanto allo stile, « nò due, nè uno ». Colse nel segno il Giusti quando disse, che la satira delBIenzini è u piuttosto cucita, che tessuta », tanto vi si palesa manifesto il ricamo degli cmistiehi danteschi, fila il Menzini non è per questo un mestierante, bensì un artefice. Nelle sue satire non è il coneetto, che s'allunga, s'assottiglia, si svisa per accomodarsi alla tirannia della rima; vi si mostra piuttosto il pensiero, chc attaglia a sè stesso, sia pur con qualche sforzo, la veste, senza che vi si oppongano l'armonia del verso, eh'è in generale di buon conio, o la bizzarria della rima, facile sempre e spontanea. E allo studio particolare di Dante è dovuta in gran parte la immunità da que' difetti di forma, da' quali non seppe guardarsi interamente neppur il Fìlieaia, ch'era ugualmente di Toscana. Dante dà qualche rara volta in forme seoncie e scurrili. E il Menzini ebbe torto di giovarsi non senza una certa alfet-tazione di quelle per foggiar di frequente il suo stile a un non so chc di triviale e plebeo. Il linguaggio della satira terza, ove svillaneggia indecentemente il Mo-riglia, adombrato sotto il pseudonimo di Cucurlione; le forme della sesta, eh'è tutta contro le donne; e certe tirate dell'ultima, ove si tratti de' voti, sono così scorrette e non di rado così salaci da disgradare sulla bocca dello stesso Aretino.
   Il Menzini non fu il solo, che dimenticasse nelle sue satire il vizio per ferir 1 individuo. Chi lo supera nel vanto sinistro c Lodovico Sergardi, nato in Siena nel 1660 e morto a Spoleto, dove malaticcio sperava nuova vigorìa alle membra, nel novembre del 1726.
   Sugli anni primi i genitori industri Della vita civile i documenti E d'onestà gli diero i pregi e i lustri.
   Prelato nella euria di Roma prepose gli esercizi delle lettere amene e particolarmente della poesia agli studi della filosofia, della pittura e della giurisprudenza, coltivati con amore nella giovinezza. Arcade s'ebbe più volte gli applausi de' suoi confratelli per certi componimenti, dove la bellezza delle imagini si pareggiava, i.i detto, alla bontà del dettato. Ma osservatore attentissimo de' costumi degli Uomini, in mezzo a' quali viveva, rivolse di preferenza lo studio a quella specie di poesia, che ispirandos' alle massime d'un'alta morale, tende a correggerne i vizi Censore in sulle prime assai mite, esordì con una epistola alla foggia di