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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   78 C'Al'ITuLO CBAKTO.
   Irosi sono i frizzi eontro i corrotti costumi della famiglia. Una satira istessa colpisce le fanciulle, clic si lasciano volontariamente sedurre, malmena le spose, che a togliere ogni vigilanza a se stesse propinano il veleno a'nuriti, sferza i padri, clic per risparmiar la dote costringono le iiglic a farsi monache, vitupera la connivenza de'niariti, intesi ad arricchire, prostituendo l'onore delle proprie donne. Che più ? Il poeta l'ha perfino con gli uomini soliti a stancare il ciclo eo'voti; nè sa perdonarla agli increduli, ehe pervicaci nelle loro torte opinioni vanno spesso a finirla nelle carceri dell'Inquisizione, o sul rogo.
   Ma conoscitore della società, in mezzo alla quale condusse la vita, il Men-zini non si contenta di morderne i vizi per le generali, come aveano fatto il Sol-dani, l'Adimari e diciamo anche il Rosa. ÒSelle dodici satire, ch'egli scrisse, appare spesso il poeta, che noneurato dalle corti, o maltrattato dagli emuli sfoga risentito il suo sdegno. Vi sono riflesse, se così si può dire, le sinistre vicende della sua vita. E lo sdegno non si riversa unicamente su' vizi, ma ferisce di frequente anche le persone. Se parla della poea fortuna de'poeti nelle eorti, non sa non alludere a sè stesso e non designare qua e là i rivali, che lo aveano inesso in mala vista de' Mediei. Non accettato in qualità d'aio nella eorte di Toscana, bistratta in un congresso di sua ingegnosa invenzione tutti quelli, che gli aveano negato, perchè poeta, il lor voto. Talvolta la sua satira diviene tutta personale e in Cueurlione, nel Sciuppa e nel morale Catone sferza senza misericordia il Moriglia, il Magliabeclii e il Ricciardi, che lo aveano fatto escludere da una cattedra dello studio di Pisa. Nello sfogo impetuoso della bile non rispetta neppur Cosimo III ehe cede vigliacco e impotente alle male arti di que'tre faccendieri. Il poeta lo assomiglia, stomacato, a un aquilotto,
   Che avea scelta per regia lina bucaccia Attorniata di spine e sopra e sotto.
   I furbi augii, che della gran bonaccia Di lui s'erano avvisti, a lui dintorno Stavan di grazie e di favori in traccia ;
   E inver temendo il meritato scorno
   Non permettean, che s'accostasse il cigno Di sua innocenza e di bel canto adorno, f A tutt'altri faceasi il viso arcigno,
   E solo a guji, a strigi e a cornacchioni Nel palazzo real porgeasi il ghigno.
   E il sire, avverso a orribili frastuoni, A fracassi, a diaboliche paure Non distingueva altre armonie di suoni;
   E se talvolta un canerino, o pure Udiva un usignuol, si riscotea, Siccome agli esorcismi le fatture,
   Ed odio ancor entro il vii cuor si avea, Usato al schiamazzar di certi nibbi, Ogìiun de' quali attorno gli stridea.
   Il Menzini non era di sì fatta natura, che di fronte al vizio sapesse atteggiarsi a quel riso demolitore, che costituisce la earatteristiea d'Orazio e diciamo anehe dell'Ariosto. Se informa le sue satire a ironia, non ò ehe qualche volta e per un tratto assai breve. Del resto dà nel vero il Giusti, quando lo qualifica a acerbo, stizzoso, violento e che di rado ha grazia, di radissimo quella lepida urbanità, eh'è l'ultima perfezione della satira ». Nessuno de' satirici antichi e moderni sfugge inavvertito al suo studio. E basta, che in qualche punto si con-acciano all'indole sua, pcrch'egli ne sappia trar buon partito. Pretta imitazione