LA SATIRA.
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cadia » del Sanuazzaro, c parecchie orazioni lette nella Sapienza romana, ove tenne per qualche tempo la cattedra di eloquenza.
A Roma dettò la maggior parte delle sue liriehe. La maniera, ch'egli seguì, varia a seconda dc'pocti, eh'ebbero a prevalere. Contemporaneo al Guidi, si provò nelle odi pindariche. Inferiore al Chiabrcra c al Filieaia nel fuoco poetico, gli vince forse entrambi nella correttezza del dettato c in un certo studio di non divagare soverehiamente dal tema. Più spontanee e più cristianamente sentite di quelle del Savonese sono senza dubbio le liriche sacre. E vero sapor greco, anche non pareggiandosi agli esemplari più perfetti, spirano le canzonette, per le quali il Medi lo salutava
II grande anacreontico ammirabile.
Nella maniera prediletta dall'Arcadia, di eui fu soeio e promosse caldamente l'istituzione, non seppe serbarsi immacolato del tutto da quel non so chc di lezioso, ch'era d'altra parte il difetto comune. A'suoi sonetti pastorali non manca tuttavia una certa venustà nella forma, chc ritrac con rara squisitezza le grazie de'melici 5'i'cei e latini. Ma i tre canti sul u Paradiso Terrestre ;; belli, se vuoisi, in alcuni squarci e buoni per la correttezza del dettato, non sono tali da far lamentare, che le molte occupazioni gli abbiano tolto di condurre a fine il lavoro. I difetti, che vi s'incontrano, traggono a pensare, che l'indole del poeta più ehe per i componimenti di lunga lena, fosse fatta per i brevi.
Fama più larga ha procacciato al Menzini la satira. Poeta non può sopportare ti poeo conto, che si fa da'suoi confratelli, dell'arte. Nelle sue satire irride la poesia di moda, informata a'precetti monchi delle scuole de'suoi tempi; getta lo scherno sulle forme gonfie ed esagerate de'seeentisti ; si sdegna eontro gl'imitatori di Pindaro, ehe
Con un parlar spropositato e matto
scambiano lo stile sublime eon eiò, che v'ha di più strano e scorretto; s'adira contro il mestiere degli improvvisatori preposto da molti all'arte vera ed eletta; s'avventa contro i poeti senza numero, che, poveri d'ingegno e di studi, insudiciavano i loro componimenti d'oscenc volgarità, e annoiavano con futili melensaggini gli uomini onesti. Ma questi non sono motivi, che bastino a giustificare il secolo della noncuranza, in cui tenevansi i poeti veri, che quantunque poveri, non si volevano confondere co'f'urfanti e con gl'ipocriti. Il Menzini se la prende pertanto eoll'età sua che dedita unicamente al guadagno, non si dava pensiero alcuno dell'arte; se la prende eo'curiali di Roma, che non avrebbero erogato in soccorso dell'uomo più sapiente del mondo neppure u l'entrata d'un pero o d'una vite ; se la prende con la gente di commercio e d'usura, nobilitata da Cosimo III, chc affettava villanamente il più aperto disprezzo de'poeti. Nel mordere i vizi comuni alla soeietà non ha riguardo a grado, a dignità, a ceto d'individui. Della corte di Toscana punge con virile eoraggio ora l'ipocrisia ed ora la torta politiea, ehe distraendo eo'eenci di nobiltà e eon le croci della cavalleria i cittadini dal commercio, fomentava la servilità, la corruttela e l'ignavia. E eon la eorte non risparmia l'ipocrisia e il falso stoicismo della misera Toscana, chc
Copre co'veli della sagrestia
i luridi vizi, de'quali, per eolpa segnatamente di Cosimo, andava macchiata l'intera cittadinanza. Mette in ridicolo il fasto vanitoso de'nobili, ehe, saliti per arti indegne agli onori più alti, sprezzavano la virtù, che non possedevano, o non volevano ammirare in altrui. Aeerbe oltre ogni dire sono le invettive contro il difetto di carità, contro l'avarizia, la simonia, i traffici de'ehierici, noncuranti il proprio ministero.