LA SATIRA. (39
Le virtù, elie si stimano in ììabele, sono la finzione, la furberia, l'adulazione o l'ipocrisia: vi si vedono assai di frequente navigare
I saggi alla sentina, i scemi in poppa, Ed al timon chi star dovrebbe al remo;
Con l'umiltà gir la iattanza in groppa, E in maschera d'Elia Bonzi e Pimandri Servir di braccio alla bugia, eh'è zoppa;
Claudi in sembianza andar d'Anassimandri, Da pellicani e da pastori i lupi, Fochi e Rufin da Fabi e da Alessandri ;
E le truppe de' Didi, animi cupi,
Favellar da Catoni e oprar da Clodi ; Millantar fedeltade e ordir dirupi.
Poeta e pittore il Rosa avea dovuto sperimentar i morsi dell'invidia. Letterati, inferiori a lui d'ingegno e di fama, s'erano sbracciati a far credere che le satire fossero lavoro d'altra penna; artisti, impotenti a levarsi al di sopra del l'aurea mediocrità, aveano osato censurare più volte i dipinti, che il bravo paesista soleva esporre annualmente in Roma nella pubblica mostra della Rotonda. E questi emuli sono malmenati senza misericordia ncll' u Invidia ». Il Rosa te li designa coi colori più neri, e getta su loro tutte le invettive, delle quab è capace la sua lingua di napoletano. E una satira, dove il poeta, nuovo Cicero prò domo sua rivendica con valide ragioni i propri diritti, e tesse di se la più larga e la più completa apologia.
La satira, a'tempi del Rosa, non era nuova in Italia. Al cinquecento, dal quale s'erano riprodotte, più o men felicemente, tutte le forme di poesia degli antichi. è pur dovuto il vanto d'averne tentato per primo le prove. Tra'parecchi, che vi si cimentarono, la palma fu portata dall'Ariosto. Nelle sue satire sono trasfusi, se così si può dire, tutti i sali comici disseminati a giosa nell' u Orlando Furioso ». V'ha inoltre eleganza di lingua, varietà di tuono nel verso e quel non so che di prestigio, che trascina a un tempo ed affascina. Vi si sente senza interruzione la lepida arguzia d'Orazio. Che il Rosa conoscesse le satire dell'Ariosto, non è cosa da mettere in dubbio. Se non la terzina, adoperata ugualmente dall'Alamanni, dal Nelli e dal Soldani, è a credere togliesse da lui l'uso degli apologhi. Non vuoisi anzi tacere, chc il vezzo d'averli voluti inserire in ciascuna delle sei satire, ch'egli ha dettate, accresce il difetto di quella monotonia, che altri ha notato ne'particolari e nell'insieme di ciascuna e di tutte. Ben diversa è del resto la via battuta dal Rosa. Fermo di dare all'Italia u il suo Lucilio », non si contentò di pungerne pelle pelle i difetti. Allo scudiscio del Venosino prepose lo staffile di
Quel, che nato in Aquino i propri allori Nel suol d'Aurunca a coltivar si messe.
Ma le sue satire non uscirono per questo tutte d'un pezzo, come quelle di Giovenale. Il fare del Rosa non procede sempre in uguale maniera. Alla spontanea naturalezza nuoce anzi tutto la studiata ostentazione, con la quale il poeta s'atteggia di continuo alla severità dello stoico. Le sue tirate, belle, se vuoisi, per magnanimità di pensieri, non possono non generare la stanchezza. V'ha qualche cosa, che s'assomiglia alla uniformità d'una nota, chc finisce col conciliare la quiete del sonno. E alla naturalezza nuoce del pari lo sfoggio soverchio delle dottrine degli antichi. Figlio del secolo, in cui visse, il Rosa sacrificò più che non convenisse, all'amore dell' erudizione. Pittore avea posto uno studio speciale nel pcnnellcggiare
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