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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   TO CAPITOLO QUA III 0.
   r. a crederò trattenessero l'autore dal farle conoscere p' r non dar forse materia di risentimento a chicchessia. Maggior nominanza s'ebbero invece le poesie giocose di Antonio Malatcsti di Fir.mze, morto molto innanzi negli anni il dicembre del 1(!72. E il u poeta insigne », chiamato dal Lippi Amostante Latoni, che
   Cavia improvviso come una calandra, Stampa gli enimmi, strologa e dipinge.
   Il grido maggiore, più che da buon numero di poesie liriche e saere, di capitoli, di cartelli per mascherate, e da un poema intitolato il u Rinaldo Infuriatoceli venne dalla u Tina, » da'« Brindisi de'Ciclopi » e dalla « Sfinge », che il Lippi qualifica, com'è veramente, una
   Scelta d'enimmi, che non hanno uguali; Perchè ognuno è distinto in un sonetto, Che il poeta ha ripien tutto di sali; Perch'ei, che sa eh'è sale, ebbe concetto, Accio che i versi suoi sieno immortali, E i vermi dell'obblio non dian lor noia, Porli fra sale e inchiostro in salamoia.
   Giova avvertire per altro, che intendimento degli scritti giocosi del Malatest', è non quello di satireggiare, ma di divertire piuttosto le brigate, con le quali si intratteneva spesso a diporto; se pur non vuoisi aggiungere, che la bontà del dettato non sa compensare l'offesa, che si fa talvolta alla buona morale specialmente nella u Tina », ove gli equivochi d'alcuni concetti sono un po'troppo da poeta sboccato.
   Il primo a mover romore con le sue satire di mano in mano che le veniva dettando, fu Salvator Rosa, nato in Renella di Napoli, e morto in Roma il 1673 in età di poco più che cinquanta sett'anni. Le famiglie del padre e della madre erano tutte c due di pittori. L'arte non aveva potuto trarlo per altro di povertà. Il padre, lusingato dalla speranza d'una sorte migliore, che non fosse quella del pittore, avviò il figliuolo agli studi delle lettere e delle scienze. Le scuole, frequentate dal fanciullo, furono quelle de' Somasehi. Il tirocinio non si prolungò per altro al di là dello studio della rettorica. Insofferente della dialettica si volse dapprima alla musica e successivamente alla poesia e alla pittura. Delle diverse forme predilesse il paesaggio. Aiutato di consigli da' più valenti pittori di Napoli, e segnatamente dal Ribeira, non tardò a levarsi in qualche nominanza. A vent'anni vide Roma, donde si tolse a breve andare per visitarla di nuovo artista provetto, e intrattenervisi buona pezza, stimato e accarezzato da quella schiera di cultori dell'arti belle, che protetti da Urbano VIII adombravano sotto qualche rispetto i tempi di Leone X. Gli esercizi, co' quali alternò le occupazioni dell'arte sua, furono di eomieo, musico e poeta. Fattosi innanzi nella grazia de'potenti ebbe varie e copiose commissioni, che gli fruttarono lauti guadagni, e rivelarono in lui un pittore di primo grado. Ritornato a Napoli nel 1646 non si rimase indifferente alle malversazioni del governo spagnuolo. La causa di Masaniello ebbe in lui uno de'propugnatori più valenti. Del numero di que'bravi giovanotti, per la maggior parte pittori, che costituivano la compagnia della morte, attese indefesso a scovar da'ripostigli più occulti i nemici, e a vendicar su d'essi l'onte recate a' Napoletani. Riparatosi a Roma al dileguarsi d'ogni speranza, riprese tacito e solitario l'esercizio deli arte sua. Assalito dagli emuli, che accusavano d'orgoglio ciò, che era forse l'effetto delle disillusioni patite, rispose mordendone in più modi l'invidia. In uggia agli artisti, a' letterati, e a'euriali, accolse volonteroso l'invito di tramutarsi in Firenze al servizio de Medici. Nessun soggiorno trovò tanto confacentc alla natura sua, quanto quel di Toscana. In Firenze alternò il lavoro con le conversazioni, eon gli spettacoli teatrali,