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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO TLkZO.
   lo sforzo di olii ha la presunzione di pareggiare l'emulo suo; vi scorgi il conato del pigmeo, chc ardisce di misurarsi con 1' Ercole le' lirici:
   Io pure ho l'arte dei famosi carmi,
   Che lungo Dì ree di trattar si apprende•
   E tento i modi del cantar l'ebano,
   E forse non in vano
   >Seguo l'altero volo.
   Non è curo agli Dei Pindaro solo.
   L'istcssa ode alla Fortuna, chc i contemporanei ammirarono e proposero a tipo di vera bellezza, non è, a chi ben la consideri, che un artifizio di personificazion' e di enumerazioni rcttorichc, povere, non sai più, se di sentimento o di concetto. Quanta differenza tra la Fortuna di Dante, mite, intelligente ed equanime , preposta dalla Provvidenza divina a regolare i beni del mondo, c la Fortuna del Guidi, superba al pari di Giunone, stolta, capricciosa, chc sconvolge a suo talento gli elementi, amplifica e rovescia gì' imperi, scatena i nembi c le procelle sulla capanna del pastore d'Arcadia! E pure si sa clic parecchi, ammaliati dalla natura del linguaggio, figurato, com'essi dicono, all'orientale, non dubitarono di r conoscervi un fare che s'accosta meno a Pindaro che a Davidde. Il Guidi stesso, invanito forse da siffatte lodi, si credette sulla via di raggiungere e lasciare per primo agl'Italiani una maniera chc avesse a ritrarre l'entusiasmo de' Profeti. Ch'i abbia letta la prolissa parafrasi delle Oinilie di Clemente undecimo, potrà giudicare da per se stesso quanto il poeta s'accostasse al concetto ch'egli s'era fisso nella mente. A noi basti sapere che il buon uomo morì con la persuasione d'aver dato in esse una maniera che si dovesse confondere con quella de' salmi.
   Orazio, affermando che i versi di Pindaro, sciolti d'ogni legge , rovinavano con l'impeto del torrente chc, precipitando dall'alto soverchia per eccesso d'acque le rive, non avea dissimulato che chiunque si fosse fatto ad imitarlo, si sarebbe avventurato al volo del figlio di Dedalo. Di questa sentenza non pare si facesse conto alcuno dal Guidi. L'alterigia pindarica, della quale era pieno, lo trasse a distruggere, senz'altro, la stanza della canzone petrarchesca per sostituirvi la strofa irregolare nel numero de' versi e nella disposizione delle rime. Il tentativo, nuovo fino allora ne' fasti delle lettere italiane, non mancò di un corto buon successo. È giusto dire che quella scompostezza studiata di metro non tolse nè varietà, nè movimento alla lirica. Il Guidi, biasimato e lodato da' contemporanei, non ebbe, ciò non di meno, seguaci. L'ode stessa alla Fortuna, ammirata quasi un capolavoro per oltre un secolo, non sedusse alcuno a ritentarne il metro. Tra' primi a ripigliar l'uso della strofa irregolare, alla foggia del Guidi, fu il Leopardi, che, aggiungendo licenza a licenza, non si brigò neppure di rimare tutti i singoli versi. Fu già avvertito come questa irregolarità conferisca maravigliosamente a scemar la fatica ch'esige, anche da' grandi maestri, la rima. Dio mi guardi dall'accusare di questa colpa l'infelice autore del Pensiero dominante e della Ginestra. Inchino per altro volentieri a pensare che la comodità più che la persuasione possa aver tratto a prediligere a molti de' moderni, non dirò il metro regolare, lino a un certo punto, del Guidi, ma
   l'inegual canzone Recanatese, la fortuita rima E la strofa, che ignava, a guisa d'angue Dilombato, or s'accorcia ed or s'allunga.
   Comunque, la strofa sciolta da ogni legge, c l'unica novità introdotta dal Guidi nella lirica. Nulla v'ha dopo ciò, che gli abbia potuto guarentire un posto a parte, com'egli sognava, nel Parnaso italiano. Nessun'cco trovarono ne' posteri