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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO TLkZO.
   Piìi giovane d'anni, ma contemporaneo nelle prove e nella fama al Chìa-brera fu il Conte Fulvio Testi, nato in Ferrara nel 1593. Gentiluomo di corte, servì gli Estensi di Modena in parecchie legazioni a Torino, a Itoina, a Madrid, a Vienna e altrove, I negozi, condotti a buon termine, e gli scritti politici lo rivelano uomo di stato di grande levatura, c d'operosità veramente singolare. Ciò clic in lui non córrispose all'altezza dell' ingegno, fu il carattere volubile, incostante, guidato u dall'esigenze d'un'ambizione, quanto effimera, altrettanto sfrenata », Le disillusioni, alle quali soggiacque assai di frequente, non bastarono a emendare in lui la natura. I suoi voti erano quelli del marinaio. Quante volte propose di raccogliersi a vita privata, altrettante si arrabattò senza posa al conseguimento de'pubblici onori. Fu solito fastidire all'indomani gli uflici a cui aveva rivolte le cure dell'oggi. Avvenne non eli rado che, noiato di tutto c di tutti, declamasse contro le corti e i Principi. La natura lo avea dotato d'una fibra eminentemente focosa e irritabile ; gli era stata larga d'una fantasia ricea e potente; lo avea creato, in una parola, poeta. L'Italia, commossa da'primi canti, affissavasi in lui siccome nel ristoratore della sua lirica. Ma l'opera della natura fu guastata da quella degli uomini;
   E la Musa gentil di Fulvio Testi,
   cui non sarebbero mancati l'entusiasmo e l'ispirazione, cadde vittima di se stessa. Le allusioni men riverenti al principe d'Estc, spiranti dalla più stupenda delle sue odi, precipitarono il poeta dall'alto della reggia nel profondo del carcere, ove morì, vegeto ancora e robusto, nel 154G.
   Il Chiabrera foggia le sue liriche sulle odi di Pindaro: il Testi invece su quelle d'Orazio. Meno erudito dell'emulo suo, ma dotato d'una facoltà poetica più larga e più potente, non imita servilmente il modello nella natura de' componimenti, nella fattura delle strofe, nella maniera delle forme. Nelle sue liriche, anche di argomento erotico, tu senti bensì il fare del Venosino: vi trovi riprodotti talvolta perfino i pensieri; ma non avviene mai che tu v'incontri il plagiario. La materia, tolta anehe ad imprestito, assume, lavorata da lui, un aspetto tutto nuovo, che non sa confondersi con quella degli altri; obbediente, per così dire, ad ogni tocco, si svolge, si piega, si foggia a seconda del voler dell' artefice. Nel Testi sono naturali e ragionevoli i voli, variamente armonioso quel senso musicale nella fattura del verso, nell'intreccio delle rime e nella combinazione de' suoni, che la natura concede assai facilmente agL Italiani. Il fare, in generale, è maestoso. Il poeta tratteggia il soggetto a larghi tocchi; usa immagini grandiose; colorisce i concetti eli tinte vive e smaglianti. Vissuto nel seicento, non sa per altro guardarsi da certi vizi, comuni, più o meno, anche a' grandi maestri del secolo. I suoi componimenti non mancano spesso di antitesi, eli lambiccature c d' ampolle, che sentono da vicino l'artifizio del Marini. Non è raro il caso che vi s'incontri l'ingegnoso, il fiorito, il prezioso, venuto agli Italiani d'oltr'Alpe; nè cresce pregio alle liriehe l'abuso delle immagini mitologiche e l'affastellamento de' fatti, desunti specialmente dalla storia antiea. Austero fino all'esageraziane, il Testi declama spesso, a guisa di predicatore, contro i vizi, segnatamente delle corti ; fa sfoggio, più che non convenga, di motti e di sentenze; affetta di verseggiare, anehe dove non occorra, le massime d'una morale che si trovano spesso in contrasto con le azioni quotidiane elclla vita. Vanitoso, si scaraventa non di rado contro gli ambiziosi : pratico de' pericoli elclla \ita, o a dir meglio, della corte, sembra porre ogni studio nello sconoscerli : volubile ed incostante, prepone a tutti i pregi dell'uomo la fermezza e la tenacità del carattere. De' poeti contemporanei rileva magistralmente i difetti. Nell'ode in morte di Lopez de Vega non risparmia in nessun modo la prostituzione, che era allora comune, delle Muse. Perdona, egli dice, o bella Italia,